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QS Edizioni - lunedì 25 novembre 2024

Intervista a Marina Davoli (Agenas): “No a classifiche. Non esistono ospedali migliori per tutte le aree cliniche o peggiori in tutto. Dal 2017 analisi anche per singolo professionista”

17 novembre - “Il PNE è uno strumento operativo a disposizione degli operatori sanitari, dei professionisti e delle direzioni aziendali per attivare processi di audit clinico ed organizzativo finalizzati al miglioramento della qualità delle cure”. È quanto sottolinea Marina Davoli, Direttore Scientifico Programma Nazionale Esiti, Direttore Dipartimento di Epidemiologia SSR Lazio che in quest’intervista ci spiega le novità dell’edizione 2015 e quelle che per i prossimi anni. E poi ribadisce che il PNE non fa classifiche: “Continuo a pensare che l’uso più appropriato degli indicatori PNE sia quello di strumento per audit. Se si considera che sono spesso i valori più estremi dei singoli indicatori ad avere problemi di qualità dei dati, non credo che sia di grande aiuto segnalare queste strutture come le “migliori” o le “peggiori””.
 
Direttore, quali sono le novità principali di questa nuova edizione del PNE?
Le principali novità riguardano la sezione relativa all’audit, arricchita di uno strumento operativo di monitoraggio e validazione dei dati, la distribuzione dei volumi di attività chirurgica per unità operativa di dimissione e l’aggiunta di alcuni indicatori di qualità della chirurgia oncologica per il tumore della mammella. Il PNE è uno strumento operativo a disposizione degli operatori sanitari, dei professionisti e delle direzioni aziendali per attivare processi di audit clinico ed organizzativo finalizzati al miglioramento della qualità delle cure; questa funzione, nella nuova edizione, è stata ulteriormente rafforzata. E’ da segnalare che, pur non essendo obbligatorio, le verifiche per confermare o confutare il dato nazionale sono state fatte per più di un terzo delle 316 strutture segnalate per audit nel 2014, o attraverso i sistemi informativi regionali e aziendali, o attraverso la verifica dei dati in cartella clinica. Molte delle segnalazioni hanno portato ad un miglioramento della qualità dei dati e questo anche grazie al supporto dei referenti regionali che collaborano al lavoro di PNE e dei professionisti ed operatori sanitari. 
Per facilitare i processi di audit, nell’edizione 2015 di PNE è presente uno strumento ad accesso riservato alle singole strutture, che possono inserire i dati mensilmente per gli indicatori previsti dal regolamento del Ministero della Salute sugli standard quantitativi e verificare più tempestivamente il raggiungimento o meno delle soglie attese, in modo da attivare per tempo i necessari audit e monitorarne l’impatto.
 
Negli anni passati si è sempre detta contraria a parlare di classifiche. È ancora così?
Assolutamente sì, continuo a pensare che l’uso più appropriato degli indicatori PNE sia quello di strumento per audit. Se si considera che sono spesso i valori più estremi dei singoli indicatori ad avere problemi di qualità dei dati, non credo che sia di grande aiuto segnalare queste strutture come le “migliori” o le “peggiori”. Per non parlare delle classifiche complessive di ospedale; i dati PNE dimostrano chiaramente che non esistono ospedali migliori per tutte le aree cliniche o peggiori in tutto.
 
Il PNE potrà mai diventare uno strumento di valutazione delle performance anche per i cittadini?
Il PNE, come peraltro già previsto, può certamente fornire le informazioni più valide per essere inserite in un portale per i cittadini, ma le modalità di comunicazione di queste informazioni non sono certo le stesse proposte dall’attuale sito, che è costruito e pensato specificamente per gli operatori sanitari e le direzioni aziendali che sono i primi responsabili dell’erogazione di cure efficaci per i cittadini.  Persino la cosa più semplice come il volume di attività talvolta può mascherare una ulteriore frammentazione per unità operativa all’interno della struttura. Anche l’informazione sull’unità operativa di dimissione, presente quest’anno per la prima volta, può non corrispondere alla unità operativa in cui è stato eseguito l’intervento. Solo quando avremo l’informazione sulle unità operative di trasferimento interno ed esterno, potremo fornire questo dato. Purtroppo la rilevazione sistematica di questa informazione, così come l’integrazione della scheda di dimissione ospedaliera con le variabili cliniche e l’identificativo dell’operatore è prevista solo a partire dal 2017.
 
In estrema sintesi, dai numeri, che quadro emerge del nostro Ssn?
Il PNE si si concentra sulle aree cliniche per le quali esistono solide prove di efficacia degli interventi sanitari che dovrebbero essere offerti a tutta la popolazione indipendentemente dall’area di residenza o dall’ospedale di ricovero. Il quadro che emerge è certamente quello di un miglioramento progressivo dell’accesso dei cittadini a queste cure, un miglioramento però tutt’altro che omogeneo. I dati dimostrano che è possibile anche in Italia raggiungere gli standard europei di “best practice”, ma in molte aree del Paese siamo ancora lontani da quei livelli.
 
Per quanto riguarda il futuro state lavorando su altri aspetti? In particolare mi riferisco alla pubblicazione dei nomi dei professionisti e all’analisi degli esiti per le strutture territoriali
Dell’analisi per singolo professionista ho già detto, sarà rilevata sistematicamente solo a partire dal 2017, con una sperimentazione prevista per il 2016; l’obiettivo però non è quello di “pubblicare i nomi dei professionisti”, ma verificare che la distribuzione dei volumi di attività per singolo professionista sia coerente con le evidenze scientifiche disponibili.  D’altronde già alcune regioni e province autonome hanno definito delle soglie minime di volume per operatore, così come suggerito anche dalle linee guida internazionali. Quindi, di nuovo, si vuole fornire uno strumento per il governo del sistema e non per additare i migliori o i peggiori professionisti.
Per quanto riguarda l’analisi dell’assistenza territoriale, come è noto, ad oggi PNE valuta solo indirettamente l’assistenza territoriale misurando i cosiddetti tassi di ospedalizzazione evitabile, cioè per cause il cui trattamento più appropriato sarebbe demandato al territorio. L’assistenza territoriale rappresenta il grande buco nero delle valutazioni a livello nazionale; la diminuzione dei tassi di ospedalizzazione per complicanze delle patologie croniche non basta a dimostrare l’efficacia dell’assistenza territoriale. Solo l’integrazione dei sistemi informativi sanitari a livello nazionale, peraltro prevista, ma non ancora attuata, ci potrà permettere di valutare gli esiti dei percorsi di cura a livello nazionale; questa valutazione ad oggi è possibile solo a livello regionale o interregionale per alcune regioni.   
17 novembre 2015
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