2 ottobre -
Rispetto allo scorso anno l’indicatore è stato modificato e fa riferimento agli esiti del biennio 2011-2012. L’intervento by-pass aorto-coronarico (Bpac) consiste nella sostituzione del tratto dell’arteria cronarica compromesso da una lesione aterosclerotica , attraverso l’innesto di un segmento di vaso che permette di aggirare l’ostruzione. È indicato per alleviare i sintomi anginosi, quando questi resistono alla terapia medica, e dà risultati migliori delle cure mediche nel prolungare la sopravvivenza dei pazienti con malattia coronarica avanzata.
I rischi potenziali sono essenzialmente condizionati da fattori legati allo stato generale di salute del paziente (che riguardano un 5% dei pazienti trattati), ma si stima che in un paziente in buone condizioni generali e senza gravi malattie il rischio di decesso sia intorno al 2%. È peraltro una procedura molto diffusa e poco rischiosa, tanto che è l’intervento cardochirurgico più eseguito al mondo e la mortalità a breve termine può rappresentare quindi un ottimo indicatore della qualità dell’attività delle strutture di cardiochirurgia.
L’esito a breve termine può rappresentare un buon indicatore di qualità dell’attività della strutture di cardiochirurgia. La valutazione è relativa al Bpac isolato, cioè non associato ad altri selezionati interventi cardiochirurgici o ad endoarteriectomia. La scelta di considerare gli interventi isolati è legata al fatto che sia il livello di mortalità sia i fattori di rischio sono diversi nel caso degli interventi associati. (VEDI TABELLA)
L'analisi. Il dato di mortalità a 30 giorni per intervento Bypass Aortocoronarico (media esiti Italia 2,49%) rileva uno scenario variegato con eccellenze tutte concentrate nelle Regioni del Nord e del Centro Italia: spiccano nel Nord per esiti di tutto rispetto l’Irccs Pr Monzino di Milano che ha lavorato così bene da azzerare la mortalità, l’AO Civile S. Antonio e Biagio di Alessandria (0,2), il San Raffele e il Niguarda di Milano (rispettivamente con 0,4% e 0,6% di mortalità). Al Centro si distingue il San Camillo Forlanini di Roma con una mortalità dello 0,5%.
Lo scenario diventa invece a tinte fosche nel Sud: ben sei strutture campane, capitanate dall’Azienda ospedaliera S. Anna e S. Sebastiano di Caserta, con un dato ben 6 volte sopra la media (14,8%, presentano dati preoccupanti. In Sicilia il Po V Emanuele di Catania e l’Aou Giaccone di Palermo hanno una mortalità del 6,5 e del 6%.
Ma anche la virtuosa Lombardia ha la sua macchia: le cliniche Gavezzani di Bergano hanno una percentuale di mortalità quasi doppia rispetto alla media nazionale (5,9%).