4 ottobre -
Lo strumento universalmente ritenuto più affidabile per l’identificazione del carcinoma mammario è la mammografia bilaterale, che dovrebbe essere eseguita nelle donne di età compresa tra 45 e 69 anni ogni 12-24 mesi. “Non c’è evidenza che altre tecniche, quali l’autopalpazione, la valutazione clinica della mammella e l’ecografia siano parimenti efficaci nello screening del tumore al seno”, mette in chiaro lo Studio INDEX. Considerazioni condivise dalla comunità di oncologi che in Lombardia hanno ispirato, nell’ambito della Rete Oncologica Lombarda, le linee guida per il trattamento e il follow up del carcinoma alla mammella. Linee guida che, tra l’altro, nei casi di carcinoma in stadio iniziale identificabile proprio grazie alla mammografia, “suggeriscono” i trattamenti di chirurgia conservativa, seguiti da terapia. Prassi che ha progressivamente sostituito la mastectomia (considerata fino a qualche anno fa il trattamento standard). La moderna terapia multidisciplinare del carcinoma mammario, che vede l’integrazione delle competenze senologiche, oncologiche e radioterapiche, ben codificate dalla linee guida, è del resto alla base del significativo miglioramento dei tassi di sopravvivenza.
Partendo da questo contesto il progetto INDEX, avviato nel 2010, ha analizzato una grande mole di dati per valutare, attraverso una serie di indicatori di processo diagnostico e terapeutico, oltre che di esito, il livello di allineamento di questo valore a quelli considerati standard dalle linee guida nazionali e internazionali. Il tutto valutando anche la variabilità regionale degli indicatori, approfondendo le aree di criticità, suggerendo le strategia di miglioramento dei percorsi diagnostico-terapeutici.
I risultati relativi all’attività di screening dicono che nelle 10 Asl che hanno partecipato allo Studio oltre il 90% delle donne tra 50 e 69 anni (406mila), considerata la fascia di età a rischio, sono state “invitate” ad effettuare il controllo. Un tasso nettamente più alto di quello nazionale, che si attesta al 69%. Le donne che hanno poi effettivamente effettuato lo screening sono state 368mila, circa il 56% del totale. Un valore ancora non soddisfacente anche se in linea con la media nazionale che è del 55%. “Questo non significa che molte donne abbiano poi rifiutato di effettuare lo screening – spiega Luciano Isa, già coordinatore CIPOMO Lombardia e direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Ospedale di Circolo-Melegnano - ma indica piuttosto che molte di loro decidono di fare controlli per conto proprio.” “E questo non è un bene perché è sempre meglio aderire a screening organizzati dalle Asl, dove strumentazioni e medici operano secondo specifici indicatori di qualità periodicamente verificati”.
Venendo ai risultati veri e propri il risultato dello screening è stato recuperato da oltre l’84% delle donne che hanno effettuato il test e l’esito è stato negativo nel 95,9% dei casi, positivo nel restante 4,1%. Il 91% delle donne con esito negativo e l’86% di quelle con esito positivo ha avuto tempi di attesa per la consegna del referto rispettivamente inferiore ai 21 e ai 28 giorni, che sono le soglie di riferimento stabilite dalle Linee guida europee sul timore alla mammella.
Approssimativamente ogni 10 richiami per approfondimenti post-mammografici si è diagnosticato un cancro invasivo, ma il rapporto varia sensibilmente da Asl ad Asl. Variabilità – si afferma nello studio - che può dipendere dalle diverse modalità di misurazione o di calibrazione degli strumenti ma “che pone la necessità di un approfondimento conoscitivo”.