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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Ssn. Ancora di buon livello, ma mostra segni di cedimento

23 aprile - La fotografia del Servizio sanitario nazionale scattata nel Rapporto Osservasalute 2011 del Policlinico Gemelli.

Gestione delle fratture negli anziani, spesso è specchio di una cattiva assistenza – Anche quest’anno è stata rilevata la percentuale di interventi per frattura di femore eseguiti entro le 48 ore nei pazienti con più di 65 anni. Nel 2009 in Italia appena il 33,6% (era il 32,5% nella passata edizione del Rapporto) di questi interventi rispetta questo criterio di appropriatezza, un risultato piuttosto basso rispetto alle performance registrate in altri Paesi occidentali e alle raccomandazioni presenti in letteratura.
La frattura del collo del femore è un evento frequente negli anziani ed è spesso causa di mortalità e di peggioramento della qualità di vita. Diversi studi hanno dimostrato che a lunghe attese per l’intervento corrispondono l’aumento del rischio di mortalità e di disabilità del paziente, l’aumento delle complicanze legate all’intervento e la minore efficacia della fase riabilitativa. Di conseguenza, molte delle Linee Guida più recenti raccomandano che il paziente con frattura del collo del femore venga operato entro 48 o addirittura 24 ore dall’ingresso in ospedale. Uno studio condotto in Italia e pubblicato nel 2010 mette in evidenza come la mortalità a 30 giorni, per i pazienti con età >65 anni operati per frattura di femore, sia 2 volte superiore nei pazienti operati dopo la seconda giornata di degenza rispetto ai pazienti operati entro 2 giorni.

Ospedali italiani usati in modo sempre più appropriato – Migliora l’efficienza gestionale delle cure ospedaliere. Per quanto assorba ancora una quota consistente delle risorse economiche complessivamente destinate a garantire i livelli di assistenza l’ospedale italiano è sempre più efficiente. Continua a rappresentare il fulcro del nostro sistema di cura, ma l’ambito di attività è sempre più rivolto alle patologie acute a elevato contenuto clinico-assistenziale.
I dati del 2009 confermano il trend in forte diminuzione del tasso di ospedalizzazione (TD) e parallelamente delle giornate di degenza. Il tasso complessivo a livello nazionale (179,4‰) è leggermente inferiore allo standard di 180 ricoveri per 1.000 abitanti fissato dalla programmazione ed ormai solo 8 regioni presentano tassi superiori a tale soglia (tutte quelle del Sud, più Lazio, Liguria e PA di Bolzano). La maglia nera spetta alla Campania (220,9‰), la regione più virtuosa è invece il Friuli Venezia Giulia (147,2‰).
Il dato positivo si deve però ricondurre alla sola componente dei ricoveri in regime ordinario in quanto il TD in regime diurno (53‰ a livello nazionale) in tutte le regioni risulta superiore alla quota del 20% del totale dei ricoveri indicata come riferimento. L’analisi delle dimissioni per tipologia di attività conferma il trend in diminuzione dei ricoveri di tipo riabilitativo, mentre si registra una stabilita dell’attività di lungodegenza (TD pari, rispettivamente, a 4,2 e 1,6 ricoveri per 1.000 abitanti).

Sempre più ricoveri sono per interventi chirurgici - Continua a crescere la quota di pazienti con DRG chirurgico (41,7% del totale dei dimessi e, rispettivamente, 39,9% e 45,8% dei dimessi in regime ordinario e diurno) malgrado un consistente passaggio di attività chirurgiche poco complesse in regime ambulatoriale. Tale trend, rilevato da anni anche a livello internazionale, testimonia una qualificazione ed un aumento di complessità delle attività ospedaliere e si registra costantemente in tutte le regioni, anche se in quelle del Nord e del Centro la proporzione di DRG chirurgici risulta essere, generalmente, molto più alta della media nazionale, con punte che in alcune regioni si avvicinano al 50% dell’attività complessiva.
Tuttavia i TD per i DRG medici (58,3% dei dimessi) continuano a mostrare una rilevante e spesso ingiustificata variabilità regionale, sia per i RO che per la componente diurna.

Diminuiscono i giorni trascorsi inutilmente in ospedale - La degenza media, sostanzialmente stabile da diversi anni, nel 2009 mostra un lieve decremento rispetto all’anno precedente (da 6,8 a 6,7 giorni). Poiché assistiamo a un aumento della complessità della casistica trattata, anche questo dato depone per un generale recupero di efficienza nella gestione degli episodi di ricovero. Persistono, tuttavia importanti differenze regionali, difficili da interpretare. Si può quindi affermare che esistono ancora margini di miglioramento in diverse realtà regionali.
Una sensibile tendenza verso la riduzione si registra anche per la degenza media preoperatoria, indice di efficienza organizzativa e di appropriato utilizzo dei servizi diagnostici e dei reparti di degenza chirurgici. Il valore nazionale del 2009 si attesta a 1,88 giorni contro gli 1,97 giorni dell’anno precedente. Anche per questo indicatore persistono significative e spesso ingiustificate differenze regionali con un evidente gradiente tra le regioni centro-settentrionali e quelle meridionali, segno di disomogeneità nella definizione di specifici percorsi diagnostici e clinico-assistenziali.

Oltre metà degli interventi chirurgici è gestita “in giornata” - Una misura significativa del cambiamento in atto nell’organizzazione dell’assistenza ospedaliera è data dalla percentuale di interventi chirurgici effettuati in regime diurno, che nel 2009 si attesta intorno al 33% delle attività operatorie complessivamente erogate. Se a tale quota si aggiunge quella relativa agli interventi chirurgici effettuati in One Day Surgery, che nell’anno in corso risulta pari al 18,9%, si osserva che circa il 52% dell’attività chirurgica, grazie alla diffusione delle moderne tecniche mininvasive e di efficaci e sicure pratiche anestesiologiche, è ormai gestita senza ricorrere al tradizionale RO. Questi dati, che peraltro sottostimano il volume complessivo delle attività chirurgiche erogate per effetto del trasferimento in regime ambulatoriale di una quota consistente di interventi chirurgici di bassa complessità, sono ormai consolidati, ma nascondono un’ampia variabilità regionale.

Spesa sanitaria pubblica – La spesa italiana per la sanità rispetto al PIL è inferiore a quelli di altri Paesi come UK, Germania, Francia, Norvegia e Danimarca ed addirittura degli USA che hanno un sistema notoriamente privato; il suo valore è comunque allineato alla media dei Paesi dell’OCSE. Si confermano le tendenze già registrate nelle precedenti edizioni del Rapporto: la spesa sanitaria pubblica in rapporto al PIL a livello nazionale prosegue la sua crescita, passando dal 6,07% nel 2002 al 6,87% nel 2008 con un tasso medio composto annuo del 2,08%.
Si conferma il gradiente Nord-Sud: la spesa va da un massimo di 10,46% della Campania a un minimo di 5,24% della Lombardia. Tutte le regioni presentano una crescita del valore dell’indicatore dal 2007 al 2008 con la sola eccezione della Calabria che, in controtendenza, riduce la spesa sul PIL del 3,49%.
Tenendo però conto della numerosità della popolazione residente in ciascuna regione emerge che le regioni con un PIL pro capite più basso si presentano con una spesa sanitaria sul PIL superiore e viceversa: il che sembra dimostrare che la quantità di risorse destinate alla sanità non rappresenta una quota proporzionale alle risorse prodotte da ciascun residente in ciascuna regione, anzi sembra esistere una relazione inversa: tanto maggiore è il PIL pro capite tanto minore è la quota del PIL destinata alla tutela della salute.
“Nelle Regioni con PIL pro capite più basso – ha osservato il professor Cicchetti - il rischio è che la spesa sanitaria abbia un effetto “depressivo” per l’economia laddove, invece, nelle Regioni più ricche la Sanità può effettivamente generare un “moltiplicatore” per la crescita economica”.  

Spesa sanitaria pro capite - Il Rapporto mostra a livello nazionale un aumento minimo della spesa pro capite fra 2009 e 2010, da 1.821 € a 1.833 € (+0,66%); la spesa è cresciuta del 18,41% dal 2004. Nel 2010 la spesa oscilla da un minimo, registrato in Sicilia di 1.690€ a un massimo di 2.191€ nella PA di Bolzano.

Disavanzi - Anche nel 2010 il SSN si conferma complessivamente in disavanzo: 2,325 miliardi di euro circa, pari a 39€ pro capite. Però il disavanzo è notevolmente diminuito rispetto ai 3,251 miliardi del 2009; il disavanzo pro capite 2010 è il più basso dell’intero arco temporale considerato (2002-2010) e conferma un trend in costante diminuzione avviato nel 2005. In alcune Regioni, il contenimento del disavanzo è stato conseguito anche ricorrendo a entrate aggiuntive poste a carico del bilancio regionale.
Permangono le forti differenze interregionali, con un ampio gradiente Nord-Sud, dove si concentra quasi tutto il deficit.
Lazio (184 euro) e Molise (167 euro) si confermano le regioni più deficitarie, ma conseguono riduzioni significative del proprio disavanzo pro capite rispetto al 2009; Sicilia (12€) e Abruzzo (14€) si posizionano addirittura al di sotto del disavanzo medio pro capite nazionale.

Il personale sanitario è donna ma in là con gli anni. Poco spazio agli under-30 - Le donne rappresentano il 63% del personale dipendente, mentre gli uomini il 37% (anni 2007-2009). Il personale più giovane è prevalentemente donna.
Nel 2009 il personale dipendente del SSN è composto prevalentemente da persone di età compresa tra i 40-59 anni.
La quota di personale over-60 è superiore a quella degli under-30 anni. A livello regionale, su quest’ultimo aspetto, si registra un marcato divario Nord-Sud: infatti, mentre nel Nord la percentuale di personale under-30 è simile a quella relativa al personale over-60 (Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna), nelle regioni del Sud prevale la componente “anziana”, ovvero gli over-60 anni (in particolare, in Campania, Sardegna, Sicilia, Abruzzo, Puglia).
Sette regioni (Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Lazio, Abruzzo, Campania, Sardegna) mostrano un deficit, in alcuni casi importante, nel reclutamento di personale under-30, rispetto all’aumento del personale anziano.
La regione col personale più giovane è il Trentino Alto Adige (anche se con una progressiva tendenza alla senescenza del personale), e quella col personale più anziano è la Calabria, con Campania e Sicilia che seguono a ruota.

Turn-over – Nel 2009 si registra un sia pur limitato ampliamento dell’organico nel SSN, il tasso di compensazione del turn-over è infatti pari a 103,1% (se il tasso di compensazione è >100, ciò significa che vi è stato un ampliamento dell’organico, mentre se è <100, l’organico ha subito una contrazione).
Tutte le regioni del Nord e del Centro (a eccezione del Lazio) risultano essere ampiamente sopra il dato nazionale con un tasso di compensazione del turnover anche del 165,7% (Piemonte, 2009), mentre per il Sud, a eccezione di Puglia, Calabria e Sardegna, le regioni presentano valori inferiori a quello nazionale, indicando una situazione di contrazione dell’organico, in taluni casi anche molto marcata (tasso di compensazione del turnover del 24,5% in Abruzzo nel 2009). In particolare, per le regioni in Piano di Rientro, l’accordo con il Governo prevede il blocco delle assunzioni e pertanto, il tasso di compensazione del turnover, risulta sia in diminuzione tra il 2008-2009 che ampiamente inferiore al 100%.
Nel 2009 il personale a tempo indeterminato rappresenta circa il 94% dell’intero personale del SSN. Ma a livello regionale le discrepanze sono molte, il personale con lavoro flessibile varia da un minimo di 2,2% in Veneto a un massimo di 10,8% in Sicilia e di 12% in Valle d’Aosta, e 7 regioni (Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Campania) presentano un valore inferiore al dato nazionale.
Come trend, tra il 2007-2009 si è registrato un aumento del personale a tempo indeterminato in 6 regioni (Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Puglia e Sicilia).


LISTE D’ATTESA

Trasparenza per poco più di una ASL su due – Da alcuni anni le Asl hanno preso a pubblicare online, in modo accessibile agli utenti, le liste d’attesa per le prestazioni da loro erogate. Ma al 2011 solo il 57% delle Asl offre questo servizio di trasparenza. Di tutte le regioni maglia nera è la Puglia per la quale solo una delle sue 7 Asl (14%) pubblica le liste; segue il Lazio dove le Asl trasparenti sono 2 su 12 (17%): Regioni virtuose sono la Lombardia in cui tutte le 15 Asl pubblicano online le attese (100%), il Friuli (6 Asl, 100%), Bolzano (4 Asl 100%), Val d’Aosta (1 Asl 100%), Trento (1 Asl 100%) e Molise (1 Asl 100%).
Liste pubblicate dalle aziende ospedaliere (AO), trasparenza per meno della metà – per quanto riguarda la trasparenza delle AO sul fronte liste d’attesa, emerge che nel 2011 solo il 44% di tutte le AO italiane pubblica online i loro dati sulle attese. I dati maggiori si osservano, a pari merito, in Piemonte e Friuli Venezia Giulia (100%), Lombardia (62%) e Veneto (50%). Per il Sud e le Isole, il dato migliore è quello della Sicilia (50%). È rilevante la situazione di molte regioni meridionali nelle quali le AO non utilizzano il web per pubblicare i propri dati.


“Le evidenze prodotte dal Rapporto Osservasalute 2011 - ha commentato Americo Cicchetti, Direttore dell’Altems, Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - vanno analizzate alla luce di due fenomeni che portano a riflettere sulla ‘sostenibilità’ complessiva del sistema. Rispetto a Germania, Francia e altri partner Europei, la nostra sanità è ancora di buon livello ma oggi iniziamo a vedere i primi segnali di cedimento e il problema, purtroppo, è economico e strutturale. La nostra spesa sanitaria risulta oggi “depressa” per il fatto che dedichiamo una quota di PIL alla sanità inferiore a quanto accada in altri paesi europei con problemi di salute analoghi ai nostri; oltre a ciò questa percentuale è calcolata su un PIL procapite che già di per sé è più basso rispetto a quello degli altri partner. Nonostante questo siamo riusciti a sostenere, tra il 2001 e il 2010, una crescita della spesa sanitaria complessivamente del 45,5% a fronte di una crescita cumulata dell’economia di solo il 2%: le implicazioni sono oggi evidenti. Abbiamo richiamato risorse da altri settori della spesa pubblica (vedi il sostegno alla ricerca) e abbiamo dovuto finanziare in deficit una spesa sanitaria che comunque è più bassa di quella di altri paesi, ma che ha generato un debito oggi insostenibile. La rotta purtroppo deve cambiare – ha concluso il docente - e l’unica direzione che si può prendere è quella che porta verso il reperimento di nuove risorse con nuovi meccanismi di solidarietà”.
 
23 aprile 2012
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