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QS Edizioni - giovedì 18 luglio 2024

Il personale del Ssn tra razionamento e riorganizzazione dei servizi. Avviare un cambiamento difficile ma generativo

di Francesco Longo e Alberto Ricci
27 novembre - Il Ssn rappresentato dal Rapporto OASI 2023 si trova oggi di fronte a uno scenario di grande tensione. Un finanziamento che, nei prossimi anni, si attesterà tra il 6% e il 6,5% del PIL, almeno tre punti al di sotto di Francia, Germania, Regno Unito. L’elevata inflazione. La crescita de bisogni, inevitabile alla luce delle previsioni Istat che prefigurano una crescita della popolazione over65 da 14 a 19 milioni nei prossimi vent’anni, di cui 6 milioni che vivranno soli. Infine, sono fattori cruciali di tensione l’anzianità e la carenza di personale. La carenza, pur attenuata nel biennio della pandemia (+3% di nuovi dipendenti tra 2019 e 2021), è esacerbata da alcuni squilibri interni per i quali non si intravedono inversioni di tendenza. 

Nei prossimi 6-7 anni la nuova programmazione delle facoltà di Medicina e delle scuole di specializzazione riporterà gli organici medici in linea o al di sopra rispetto al resto d’Europa. Alcune carenze continueranno probabilmente a manifestarsi in specifiche discipline come emergenza-urgenza, anestesia e rianimazione, o medicina di laboratorio. Tuttavia, la criticità più macroscopica sarà la ridotta dotazione infermieri, già oggi al di sotto di tutti gli altri grandi Paesi occidentali, a causa della carenza strutturale di “vocazioni”, e quindi indipendentemente dal numero di posti disponibili in università. Nel 2023, le facoltà di medicina offriranno al settore tanti medici quanti infermieri (10.000 circa), quando il fabbisogno dei secondi è circa 2,5-3 volte quello dei primi, anche considerando solamente la sostituzione degli attuali occupati. Infine, per molte delle 23 professioni sanitarie non mancano i candidati, che, però, non vengono ritenuti fungibili per alcune funzioni di cura e assistenza, attualmente di esclusiva competenza degli infermieri o di altre professioni sanitarie sempre più ricercate. 

Davanti a tele scenario sono possibili due diverse risposte da parte di chi, a livello regionale e aziendale, non decide l’entità sostanziale del finanziamento del SSN: il razionamento o la riorganizzazione.

Gli interventi di razionamento riducono al margine le singole voci di costo, o quantomeno ne frenano la crescita, cercando di mantenere gli stessi volumi erogativi. Questo approccio può fare leva sul tema della lotta allo spreco, che non sarà mai ridotto a zero. I criteri di valutazione dell’operato manageriale sono semplici: un migliore rapporto tra volumi di servizio e risorse erogate e l’equilibrio economico sanciscono il successo. 
La riorganizzazione, all’opposto, è un processo di cambiamento più profondo, che agisce su più leve e in maniera più sofisticata. Si tratta di definire le priorità di intervento, studiare i percorsi di accesso, riallocare le risorse, rimodulare i ruoli professionali, sviluppare e diffondere nuove competenze tecniche e gestionali. Questo approccio valuta il proprio successo attraverso dimensioni più difficili da misurare: il tasso di copertura dei bisogni, l’equità degli accessi, la qualità dei servizi,  

Quale strada imboccare? Proviamo a delineare un esempio tanto pratico quanto attuale: le difficoltà dei servizi di emergenza-urgenza e, per la prospettiva della riorganizzazione, gli spunti offerti dai progetti di riforma avviati da Lombardia ed Emilia Romagna.

Secondo la logica del razionamento, si può cercare di rispondere alla carenza di risorse e di personale, specialmente di medici dell’emergenza-urgenza, coinvolgendo nei pronto soccorso medici a gettone di altre discipline. Man mano che il vincolo delle risorse si acuisce, si possono ridurre progressivamente gli organici, l’ampiezza dei servizi di supporto e l’intensità assistenziale, aumentando le attese e le insoddisfazioni dei pazienti. Questi ultimi continuano ad affluire senza filtri verso modelli di servizio ormai profondamente inadeguati. 

Secondo la logica della riorganizzazione, si tratta, innanzitutto, di comprendere lo squilibrio tra la massa di domanda non governata che grava sui PS, da un lato, e la scarsità di accessi in continuità assistenziale, dall’altro. Bisogna creare setting più appropriati e diversificati in relazione al bisogno dei pazienti, distinguendo, a partire dalla porta di ingresso e dal luogo erogativo, tra codici rossi e gialli da un lato e codici bianchi e verdi dall’altro. I primi dovranno essere presi in carico in PS, da medici dell’emergenza-urgenza. I secondi saranno indirizzati verso ambulatori per le urgenze a bassa complessità dove verranno presi in carico dai medici delle cure primarie o con altra formazione, oltre che ovviamente da infermieri. Un simile cambiamento è possibile ragionando e costruendo sui canali di accesso: valorizzando il primo contatto telefonico e la possibilità, in alcuni casi, di effettuare triage e interventi di telemedicina, grazie a nuove funzioni digitali centralizzate e disponibili da remoto per tutti gli utenti.

Si tratta di un semplice esempio, che però può rendere l’idea della logica di fondo. La difficoltà gestionale è probabilmente simile tra processi di riorganizzazione, che devono affrontare stakeholder resistenti al cambiamento ma possono essere generativi, e scelte conservative di razionamento, che ricercano la sopravvivenza di modelli di servizio incoerenti e insostenibili nel contesto epidemiologico ed economico dato.

Francesco Longo
CERGAS, SDA Bocconi
 
Alberto Ricci
CERGAS, SDA Bocconi
27 novembre 2023
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