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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Gli effetti della pandemia sui bambini non sono secondari

di Lucio Romano
5 novembre - Siamo in piena seconda ondata pandemica da Covid-19 e alcuni ricercatori prefigurano anche una terza ondata per i primi mesi del 2021. Riaperti “i varchi nelle nostre trincee di protezione” sono ripresi diffusamente i contagi e i ricoveri. Diverse criticità, non solo in ambito sanitario, coinvolgono una vasta fascia di popolazione. Deprivazioni socioeconomiche inevitabilmente influenzano in negativo lo stato di salute. Si aggravano le cronicità e il malessere nelle situazioni di maggiore vulnerabilità.  
 
In Italia più di 11 milioni di persone con tumori e malattie cardiovascolari rischiano di essere poste in secondo piano. Secondo i dati dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, nel corso della prima ondata pandemica circa il 20% dei pazienti con tumore non si è presentato alle visite di controllo e circa 1 milione e 400mila italiani non hanno effettuato lo screening secondo i protocolli di prevenzione. La pandemia sta mettendo a rischio la continuità delle cure e si vanno riducendo gli spazi assistenziali con la loro riconversione in reparti Covid-19. Si rinviano le attività mediche e chirurgiche ordinarie anche per la carenza di personale sanitario impegnato sul fronte delle urgenze. Come ha sottolineato recentemente il Presidente Mattarella, “troppi screening e troppe cure vengono rinviate a causa della pandemia, rischiando ritardi irrecuperabili nelle diagnosi di tumore e pericolose interruzioni nelle terapie che non consentono pause o sospensioni”.
 
Non secondari gli effetti che ricadono sui bambini. Secondo l’ISTAT, già prima della pandemia, oltre 1 milione e 130 mila minori si trovava in situazione di povertà assoluta. Alcune rilevazioni della Caritas italiana sui primi mesi del 2020, per fasce di popolazione già molto fragili, indicano che la situazione è ulteriormente peggiorata. In aumento il disagio psicologico-relazionale (+86%), le difficoltà scolastiche (+82,8%), la solitudine (+82,2%), la rinuncia o il rinvio di cure e dell’assistenza sanitaria (+74,6%). A subire in maggior misura, inoltre, sono gli alunni con diritto al sostegno nella scuola, da quella dell’infanzia alle superiori. Con gli ultimi dati pubblicati dall’ISTAT, sono in massima parte bambini e ragazzi con disabilità: complessivamente il 3,1% degli alunni.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) dedica particolare attenzione proprio al tema con un Parere su Covid-19 e bambini: dalla nascita all’età scolare. Si evidenziano, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, le specifiche ripercussioni indotte dalla pandemia sugli aspetti sanitari e sociali: dall’analisi degli effetti clinici e relazionali sull’unità materno-feto-neonatale fino alle prime fasi dello sviluppo dell’infanzia e della fanciullezza.
 
Si esamina la condizione dei bambini nell’età prescolare e scolare con particolare attenzione a malattie croniche, disabilità, patologie rare e agli effetti della discontinuità delle cure. Partendo “dall’interesse del minore quale criterio etico-giuridico fondamentale per la valutazione del rapporto benefici-rischi delle misure ipotizzate”, sono prese in considerazione le conseguenze psicologiche e sociali del lockdown. Si affrontano le conseguenze della chiusura delle scuole, le problematiche connesse alla riapertura e alla didattica a distanza (DAD), evidenziandone opportunità e criticità: in particolare le ripercussioni sulla maturazione personale e la crescita sociale; il divario digitale (digital divide), ossia il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie necessarie e chi ne è escluso in modo parziale o totale. Fragilità sociosanitarie che sono paradigmatiche dello scenario in cui si viene a trovare il bambino “impedito” dal Coronavirus. È un’analisi che il CNB offre come un supplemento di approfondimento, anche con la proposizione di specifiche raccomandazioni secondo prospettive realisticamente praticabili.  
 
Sotto il profilo bioetico il Parere richiama i principi che possono essere di maggiore riferimento. Sia per quanto riguarda il ricorso a provvedimenti restrittivi finalizzati al contenimento della diffusione pandemica sia in merito alla loro proporzionalità nel bilanciamento tra benefici attesi e rischi previsti. Una visione, potremmo dire, che anche sull’esperienza di quanto verificatosi con la prima ondata della pandemia possa essere utile nell’immediato. Ebbene, tra i vari principi sono individuati prioritariamente la preparedness (tempestiva predisposizione di strategie di azione), la precauzione, la “responsabilità condivisa”, la proporzionalità.
 
Indispensabili, prima di tutto, le misure di sanità pubblica volte a mitigare la diffusione della pandemia con la tempestiva predisposizione di adeguate strategie di azione per prevenire, assistere e mitigare gli effetti sfavorevoli. Interventi che – non solo nell’attualità dell’aggravamento pandemico – potranno essere anche di beneficio per la sanità post Covid-19. In tale contesto è fondamentale il rafforzamento dei livelli appropriati dei servizi essenziali, in maniera uniforme in tutti i territori, con rapide riformulazioni sia per le strutture che per l’organizzazione sanitaria. Dalla medicina territoriale al reclutamento di personale sanitario; dall’aggiornamento tecnologico degli ospedali e implementazione dei posti letto per patologie emergenti ad una assistenza che sia fornita omogeneamente; dall’aumento delle terapie intensive neonatali a quelle subintensive e intensive per le altre età, in parte già programmate in quest’emergenza, con congruo personale specialistico dedicato; dalla valutazione anticipata dei  carichi sul sistema sanitario alla tutela delle fasce più a rischio; etc. La preparedness consente di passare dalla “inevitabilità” alla “prevedibilità” con la concreta e precoce realizzazione di misure dedicate. Dobbiamo tener conto che nella sanità, come in altri campi, il “dopo” non sarà né potrà essere come il “prima”.
    
La precauzione, a sua volta, richiede interventi cautelativi nell’anticipazione preventiva del rischio – a fronte della rapidità della trasmissione virale – per evitare o limitare conseguenze negative in attesa di predisporre interventi sistematici. Precauzione certo non significa astensionismo. Piuttosto richiede valutazione del rischio (risk assessment) e gestione del rischio (risk management). Sul piano pratico l’applicazione del principio di precauzione legittima, in situazioni di grave e altrimenti incontrollabile diffusione pandemica, anche prescrizioni restrittive per tempi limitati nella ponderata previsione delle conseguenze.
 
La responsabilità, poi, è paradigma etico imprescindibile per “garantire ogni diritto con un dovere”. Responsabilità in capo allo Stato per assicurare le doverose protezioni in ambito economico, sociale e sanitario sulla guida della Carta costituzionale; responsabilità in capo ad ogni cittadino per assicurare partecipazione e attiva collaborazione. Ciò significa che l’impegno è doverosamente in capo ad ognuno, appunto secondo le proprie responsabilità, anche per rendere effettive disposizioni che, in quanto anche restrittive, devono essere predisposte secondo gradualità e proporzionalità tra benefici attesi e rischi previsti, nella congruità con le evidenze epidemiologiche dei relativi indicatori e delle soglie critiche. È un bilanciamento gravoso che comporta decisioni certamente difficili con ripercussioni in una molteplicità di ambiti. In definitiva, una “responsabilità condivisa” che, dal profondo significato etico-sociale, apre alla solidarietà anche in termini costituzionali.
 
Lucio Romano
Medico chirurgo e docente universitario
Componente Comitato Nazionale per la Bioetica
5 novembre 2020
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