L’Aifa ha pubblicato in forma di domande e risposta le conclusioni del Gruppo di Lavoro Emostasi e Trombosi di esperti in patologie della coagulazione nominato a seguito della segnalazione, in soggetti sottoposti a vaccinazione anti-SARS-CoV-2 con i vaccini a vettore virale Vaxzevria (AstraZeneca) e Janssen (Johnson & Johnson), di eventi trombotici in sedi atipiche (trombosi dei seni venosi cerebrali e/o del distretto splancnico), associati a piastrinopenia e con decorsi clinici di particolare gravità.
Il mandato del gruppo era quello di approfondire la plausibilità biologica degli eventi, identificare le eventuali strategie di minimizzazione del rischio e indicare le modalità più corrette per la gestione clinica di questi eventi rarissimi.
Ecco tutte le risposte degli esperti.
1. Quali complicanze tromboemboliche sono state osservate nei soggetti vaccinati con Vaxzevria e COVID-19 Vaccine Janssen?
In linea generale, gli eventi tromboembolici venosi occorsi in soggetti vaccinati con Vaxzevria e con il vaccino Janssen non sono risultati più frequenti rispetto a quelli attesi nella popolazione non vaccinata.
Sono stati tuttavia accertati rari casi di eventi del tutto peculiari, caratterizzati da trombosi dei seni venosi cerebrali (TSVC) e/o trombosi delle vene splancniche, spesso associati alla presenza di trombi in sedi multiple e a piastrinopenia, con emorragie gravi e talvolta segni di coagulazione intravascolare disseminata (CID). Questi eventi sono stati osservati quasi esclusivamente entro circa tre settimane dalla vaccinazione in soggetti sani con età inferiore a 60 anni, prevalentemente donne.
2. Qual è la loro frequenza?
Per il vaccino Vaxzevria, da fonte EudraVigilance, alla data del 4 aprile 2021, sono stati riportati 169 casi di trombosi dei seni venosi cerebrali (TSVC) e 53 casi di trombosi delle vene splancniche, spesso associati a piastrinopenia, su un totale di circa 34 milioni di dosi di vaccino Vaxzevria somministrate nell’ Area Economica Europea (EEA) e nel Regno Unito (UK), pari a 6,5 casi per milione di soggetti che hanno ricevuto almeno una dose, riferita, alla data di analisi, sostanzialmente alla prima dose di vaccino.
Dal rapporto preliminare EMA, nell’ambito della procedura europea di rivalutazione del vaccino Vaxzevria attualmente in corso, si evince che per gli eventi di trombosi venose in sedi atipiche associate a piastrinopenia è stato stimato un tasso di circa un caso ogni 100.000 vaccinati.
Anche i casi riportati nei sistemi di farmacovigilanza della Gran Bretagna nell’ultimo report pubblicato il 20 maggio sono in linea con tale dato (309 casi per 23.9 milioni di prime dosi con vaccino Vaxzevria).
In Italia al 26 aprile sono stati riportati 34 casi di trombosi venose in sedi atipiche, 18 delle quali associate a trombocitopenia. Rispetto alle somministrazioni effettuate con Vaxzevria si osservano quindi 0.45 casi ogni 100.000 vaccinati, dato che potrebbe risentire della minor rappresentatività del campione italiano rispetto ai dati europei e anglosassoni.
Per quanto riguarda gli eventi osservati dopo somministrazione del vaccino Janssen, il sistema di sorveglianza USA “Morbidity and mortality weekly report” alla data del 30 aprile 2021, riporta 17 casi di trombosi in sedi atipiche associate a trombocitopenia (eventi del tutto simili a quelli osservati con il vaccino Vaxzevria) su 7,98 milioni di dosi di questo vaccino somministrate in Nord-America.
3. Quali possono essere i meccanismi fisiopatologici alla base delle manifestazioni tromboemboliche più gravi (trombosi dei seni venosi cerebrali e/o del distretto splancnico associate con trombocitopenia)
La trombosi dei seni venosi cerebrali (TSVC) è una manifestazione rara, con una incidenza annuale che oscilla tra 0,2 e 1,5 casi per 100.000 abitanti per anno ed una prevalenza nel sesso femminile. Tipicamente si associa a condizioni protrombotiche, congenite o acquisite, alcune delle quali caratteristiche delle donne, come l’uso della pillola o la gravidanza e il puerperio. Raramente però si associa a trombocitopenia.
I casi di TSVC e/o del distretto splancnico che sono stati osservati dopo la somministrazione di Vazxevria e del vaccino Janssen hanno mostrato come caratteristiche comuni un’insorgenza tra 5 e 21 giorni dopo la vaccinazione, la presenza concomitante di trombocitopenia di varia gravità e un andamento rapidamente progressivo, spesso con il riscontro nei giorni successivi al ricovero di trombosi in numerosi altri distretti vascolari, soprattutto venosi ma anche arteriosi, e in alcuni casi di alterazioni coagulative compatibili con una coagulopatia da consumo (coagulazione intravascolare disseminata).
Questo tipo di presentazione, cioè l’associazione tra trombocitopenia e complicanze trombotiche spesso multiple con un andamento clinico rapidamente ingravescente, è nota verificarsi in alcune forme trombotiche con base autoimmunitaria, come la sindrome da anticorpi antifosfolipidi “catastrofica”, la porpora trombotica trombocitopenica, o la trombocitopenia indotta da eparina associata a trombosi.
In effetti, alcuni ricercatori tedeschi e successivamente norvegesi hanno rilevato in 16 casi di TSVC post-vaccinazione una positività per anticorpi contro il complesso tra fattore piastrinico 4 ed eparina, suggerendo che il meccanismo che innesca questa complicazione in soggetti non precedentemente esposti all’eparina possa essere quello definito come “trombocitopenia autoimmune indotta da eparina”, forse innescato dalla formazione di complessi tra gruppi polianionici indotti dal vettore virale e fattore piastrinico 4 o dalla produzione di anticorpi generati dalla reazione infiammatoria al vaccino capaci di cross-reagire con le piastrine e il fattore piastrinico 4 (PF4). Non c’è però ancora evidenza che questo sia l’unico meccanismo fisiopatologico che innesca questa sindrome trombotica e almeno alcuni dei casi finora descritti non sono risultati positivi al test per la ricerca degli anticorpi anti complessi PF4/eparina. Rimane inoltre da definire per quale ragione questa reazione avversa si sviluppi esclusivamente in alcuni rari casi.
Meccanismi alternativi, descritti in precedenza con i vaccini contro SARS-CoV e MERS, definiti “incremento di malattia indotto da anticorpi” (ADE) e scatenati dall’attivazione di specifici recettori di cellule infiammatorie da parte di immunocomplessi generatisi a seguito della vaccinazione, non possono essere esclusi.
4. Sono stati identificati dei fattori in grado di individuare i soggetti a maggior rischio di sviluppare queste manifestazioni tromboemboliche?
Al momento, la mancata definizione di un meccanismo fisiopatologico unitario alla base dei rari casi di trombosi dei seni venosi cerebrali e/o del distretto splancnico associata a vaccinazione da Vaxzevria rende impossibile identificare dei fattori di rischio da cercare nella popolazione generale.
Ciò è particolarmente vero per la ricerca delle condizioni trombofiliche ereditarie più comuni (es. mutazione Leiden del Fattore V o G20210A del Fattore II in eterozigosi, deficit degli inibitori naturali della coagulazione), che si può stimare che siano presenti nel 5-6% della popolazione generale europea [6]. Ci si può quindi attendere che circa 5.000-6.000 persone ogni 100.000 soggetti vaccinati con Vaxzevria siano portatrici o portatori di queste anomalie coagulative, il che contrasta evidentemente con l’estrema rarità delle più gravi complicazioni trombotiche osservate (trombosi dei seni venosi cerebrali e/o del distretto splancnico).
La stessa interpretazione può essere data anche nel caso in cui siano presenti fattori di rischio, come ad esempio l’assunzione di estroprogestinici, che in Italia sono utilizzati da circa 2.300.000 donne. È noto da tempo che questi farmaci aumentano il rischio di TEV di circa 4 volte in tutte le donne, con qualche differenza a seconda dei vari tipi di composti [7]. Questo significa che il rischio assoluto annuo di avere un episodio di TEV per una donna di età <40 anni, eterozigote per la mutazione FV Leiden e che assume un preparato estroprogestinico, è nell’ordine dello 0.4%.
Alla luce di questo rischio assoluto di TEV, molto contenuto anche nei soggetti con le più comuni condizioni di trombofilia ereditaria, è stato definito che uno screening trombofilico generalizzato prima dell’utilizzo dei composti estroprogestinici non offre alcun vantaggio e non è quindi raccomandabile per nessuna donna.
Queste considerazioni si applicano a maggior ragione a condizioni cliniche estremamente rare, nell’ordine di qualche caso per milione di persone, come le trombosi venose in sedi atipiche segnalate in soggetti vaccinati con Vaxzevria o con il vaccino Janssen.
Pertanto, un ipotetico scenario in cui la vaccinazione agisse come trigger su una condizione di predisposizione congenita per portare a questi eventi trombotici atipici riguarderebbe all’incirca 1 soggetto trombofilico su 10.000 vaccinati.
L’insieme di questi dati evidenzia come le più comuni condizioni trombofiliche presenti nella popolazione non possano essere il determinante di tali casi, e che pertanto la loro ricerca sistematica prima della vaccinazione non sia in alcun modo raccomandabile.
5. Esistono dei farmaci in grado di prevenire queste manifestazioni tromboemboliche?
L’uso dei farmaci antitrombotici più comunemente disponibili - vale a dire l’acido acetilsalicilico (ASA), l’eparina non frazionata (ENF) e le eparine a basso peso molecolare (EBPM) - è associato ad un modesto, ma non trascurabile, aumento del rischio emorragico.
L’uso dell’ASA per la profilassi primaria degli eventi cardiovascolari, cioè in soggetti che non hanno mai avuto problematiche di questo tipo, è associato ad un rischio di emorragia maggiore stimabile nell’ordine di 23 casi /10.000 pazienti/anno, pari a 88 casi di emorragia maggiore per milione di pazienti in un arco temporale di 14 giorni, che corrisponde a quello in cui si è verificata la maggioranza degli eventi avversi trombotici segnalati a seguito della vaccinazione con Vaxzevria.
Analogamente, l’uso dell’ENF e delle EBPM per la prevenzione del tromboembolismo venoso nei pazienti ricoverati per problematiche internistiche è associato ad un rischio di emorragie maggiori nell’ordine dello 0.3% entro 14 giorni dal ricovero, pari a 3.000 casi di emorragie maggiori per milione di soggetti.
In base a queste considerazioni epidemiologiche, se si fosse utilizzata una strategia di profilassi farmacologica generalizzata ci si sarebbe dovuto attendere circa 88 emorragie maggiori in più associate all’uso di ASA e 3000 all’uso di EBPM ogni milione di vaccinati con Vaxzevria.
Oltre a questa fondamentale considerazione di sicurezza va anche sottolineato come non vi siano evidenze scientifiche a supporto dell’ipotesi che ASA o EBPM siano efficaci nel ridurre il rischio di questi rarissimi eventi trombotici nei soggetti sottoposti a vaccinazione contro COVID-19 con Vaxzevria.
A fronte quindi di un rischio di eventi avversi gravi, come un’emorragia maggiore, ben quantificabile e rilevante, e di un beneficio non dimostrato in termini di riduzione del rischio tromboembolico, comunque assai basso, la prescrizione a scopo preventivo di farmaci antitrombotici nei soggetti sottoposti a vaccinazione è fortemente sconsigliato. Resta inteso che tali farmaci potranno essere continuati nei pazienti già in trattamento.
6. Quali sono i principali segni o sintomi clinici che devono indurre a sospettare tale evento avverso (trombosi dei seni venosi cerebrali e/o del distretto splancnico)? Cosa fare di fronte a tale sospetto?
L’insorgenza di una complicanza trombotica a livello del sistema venoso cerebrale o addominale va sospettata quando compaiono alcune manifestazioni cliniche suggestive, già note dalla letteratura e pratica clinica.
In circa 9 casi su 10 le trombosi dei seni venosi cerebrali (TSVC) si presentano con cefalea di particolare intensità, che in genere i pazienti riferiscono come “mai provata prima”. Più spesso il dolore è ingravescente, aumentando progressivamente nell’arco di un paio di giorni, ma altre volte può raggiungere la massima intensità in brevissimo tempo. In queste ultime situazioni, si associano anche nausea e vomito, fotofobia, diplopia, calo della vista o perdita di coscienza.
Altre manifestazioni cliniche della TSVC invece possono essere rappresentate da crisi epilettiche, presenti all’esordio o dopo la comparsa della cefalea e da deficit neurologici simili a quelli osservati dopo un ictus cerebri ischemico. Non bisogna dimenticare, infatti, che le trombosi dei seni venosi cerebrali sono classificate sia tra le rare forme di trombosi venose che tra le rare forme di ictus. Vanno sempre sospettate in presenza di deficit neurologici di lato nei soggetti giovani, soprattutto se precedute o associate a cefalea.
Anche nelle trombosi delle vene addominali il sintomo più comune è il dolore, spesso diffuso e particolarmente intenso. Può associarsi a nausea e inappetenza. Altre volte si associa a sanguinamento gastrointestinale, soprattutto con emissione di feci frammiste a sangue. Si tratta però di una patologia più subdola, in cui il dolore è riferito come prima manifestazione da non più di 6 persone su 10 e che non di rado (fino a 1 caso su 3) è diagnosticata senza che fosse stata prima sospettata clinicamente.
Per questo motivo in presenza di trombosi in altre sedi e piastrinopenia dopo somministrazione del vaccino è consigliabile studiare anche il circolo venoso addominale. In presenza di uno o più sintomi precedentemente descritti insorti nei giorni successivi alla somministrazione del vaccino, ed in particolare se intorno al 7°-21° giorno, soprattutto quando il dolore è di particolare intensità e/o è associato ad altri sintomi o segni, è opportuno sottoporre rapidamente il paziente ad accertamenti diagnostici.
Se la presentazione è importante, è fondamentale inviare immediatamente il paziente al Pronto Soccorso informando della recente vaccinazione. Resta inteso che qualora il quadro clinico sia dubbio perché presenti sintomi di intensità lieve o già accusati precedentemente alla vaccinazione si raccomanda un monitoraggio attento dell’andamento clinico.
7. Quali esami strumentali e di laboratorio sono indicati per la diagnosi iniziale dei casi di trombosi dei seni venosi cerebrali e/o del distretto addominale con piastrinopenia?
Nella valutazione di questi pazienti è importante eseguire subito: emocromo, PT, aPTT, fibinogeno, D-dimero, esami di funzionalità epatica (transaminasi, bilirubina, fosfatasi alcalina, gamma-GT) e creatininemia.
Nel sospetto di trombosi dei seni venosi cerebrali l’esame di prima scelta oggi è l’angio-TC cerebrale, indicando al medico neuroradiologo il sospetto clinico così da poter studiare correttamente con il mezzo di contrasto i distretti venosi. Nel caso di dubbio o in alternativa, si può ricorrere all’angio-RMN. Il D-dimero ha dimostrato una buona sensibilità se eseguito entro 14 giorni dall’insorgenza dei sintomi per decidere, se negativo, di non sottoporre i pazienti agli esami radiologici. La determinazione del D-dimero in pazienti recentemente sottoposti a vaccinazione, tuttavia, è raccomandabile solo all’interno di percorsi diagnostici specialistici.
Nel sospetto di trombosi venosa addominale, in prima battuta, è possibile eseguire un’eco-color doppler. Questo esame è semplice e veloce da eseguire e, se eseguito in modo accurato è utile per diagnosticare le trombosi venose portali, spleniche e anche sovra-epatiche, ma perde di sensibilità diagnostica nelle trombosi venose mesenteriche. È consigliabile eseguire comunque un’angio-TC addominale sia per valutare l’estensione della trombosi sia in caso di riscontro ecografico sia in caso di negatività dell’esame ecografico stesso, soprattutto se il sospetto clinico è elevato (es. addominalgie ai quadranti inferiori, sanguinamento intestinale). Non ci sono dati sull’utilità del Ddimero nell’approccio diagnostico alle trombosi venose addominali.
8. Come si trattano le trombosi dei seni venosi cerebrali o del distretto splancnico con piastrinopenia?
L’incompleta conoscenza dei meccanismi patogenetici permette di esprimere solo dei suggerimenti, in buona parte derivati dall’esperienza generale e non validati in questa situazione specifica.
E’ indispensabile personalizzare le strategie terapeutiche antitrombotiche in base alla conta piastrinica osservata, anche in considerazione delle complicanze emorragiche osservate molto spesso in questi casi: in linea di massima un trattamento anticoagulante (o fibrinolitico) non va intrapreso in caso di conta piastrinica inferiore a 25.000/mmc, va somministrato a dosaggi ridotti (dimezzati) rispetto ai dosaggi standard in caso di conta piastrinica compresa tra 25.000 e 50.000/mmc, può essere effettuato con dosaggi standard e con relativa sicurezza in caso di conta piastrinica superiore a 50.000/mmc.
Naturalmente in caso di sanguinamento in atto o recente tali indicazioni vanno riviste modulando il trattamento a seconda della situazione clinica. Va ricordato che in caso di trombosi dei seni venosi cerebrali una quota di sanguinamento perisinusale è legata all’alterazione della circolazione e non costituisce controindicazione al trattamento, salvo la costituzione di ematomi parenchimali di grandi dimensioni o con ripercussioni cliniche.
Quindi la strategia terapeutica complessiva deve tener conto, prioritariamente, della conta piastrinica, e del come eventualmente incrementarla. L’ipotesi di una patogenesi immunologica e l’osservazione positiva in alcuni casi fa suggerire in caso di piastrinopenia (definita come conta piastrinica <100.000/mmc) l’impiego di immunoglobuline e.v. (1 gr/kg /die per 2 giorni) associate a steroidi ad alte dosi (desametasone 40 mg/die e.v. per almeno 4 giorni o prednisone 1 mg/kg/die per 7-14 giorni). Tale strategia va attuata anche in caso di conta piastrinica compresa tra 50.000 e 100.000/mmc, non potendo escludere nei giorni successivi alla diagnosi una diminuzione significativa della conta piastrinica.
In caso di conta piastrinica critica (<25.000/mmc e/o emorragia maggiore in atto) va considerato l’impiego di trasfusioni piastriniche che se pure controindicate in linea di principio a causa della possibile patogenesi immunologica, si sono dimostrate efficaci e sicure in alcuni dei casi segnalati. Rispetto alla scelta del tipo di anticoagulante, l’impiego di eparina non frazionata o di eparina a basso peso molecolare va escluso salvo accertamento della negatività degli anticorpi anti-PF4 (possibilmente confermata con test HIPA). Qualora tali test non siano attuabili in tempi brevi, si suggerisce di utilizzare come agente anticoagulante il fondaparinux.
Qualora disponibile, si segnala che argatroban e.v. può presentare aspetti di migliore gradualità dell’intensità di trattamento in relazione alla conta piastrinica (basandosi sui valori di aPTT) e migliore sicurezza potendosi interrompere il trattamento rapidamente in caso di sopraggiunte complicanze emorragiche. Tale trattamento dovrebbe essere preferito in caso di insufficienza renale, condizione che rende più problematica la gestione con fondaparinux.
9. Perché Vaxzevria ora è indicato preferenzialmente nei soggetti di età > 60 anni, a differenza di quanto inizialmente raccomandato?
Seguendo l’approvazione di EMA, AIFA ha autorizzato il vaccino Vaxzevria (ex COVID-19 AstraZeneca) il 30 gennaio 2021 [18], dando indicazione, in attesa di acquisire ulteriori dati, ad un suo utilizzo preferenziale in soggetti tra 18 e 55 anni. Questa scelta era giustificata dalla scarsità di dati disponibili negli studi registrativi relativi alla popolazione di età > 55 anni, sebbene una buona risposta anticorpale fosse già stata osservata nel campione limitato riferito a questa sottopopolazione.
La disponibilità di ulteriori dati (provenienti soprattutto da studi osservazionali condotti in Regno Unito e Scozia e resi noti nel corso del mese di febbraio 2021) relativia buoni risultati in termini di efficacia e sicurezza del vaccino in fasce d’età superiori, ha portato a due successive circolari del Ministero della Salute che hanno consentito l’utilizzo del vaccino dapprima in soggetti fino a 65 anni e poi anche in un’età > 65 anni. Successivamente, sono stati però segnalati rari eventi avversi gravi, verificatisi entro 14 giorni dalla somministrazione del vaccino Vaxzevria in soggetti nella maggior parte dei casi di età < 60 anni, prevalentemente donne, caratterizzati da trombosi in sedi inusuali spesso associate a piastrinopenia.
Questi elementi hanno portato EMA, dopo una valutazione di tutti i dati di farmacovigilanza, ad aggiornare successivamente le informazioni di sicurezza del vaccino nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto e nel Foglio Illustrativo per il paziente. L’analisi dell’EMA ha confermato che il bilancio beneficio/rischio del vaccino Vaxzevria rimane complessivamente positivo, in quanto il vaccino è sicuramente efficace nel ridurre il rischio di malattia grave, ospedalizzazione e morte connesso al COVID-19. Tale bilancio viene ritenuto progressivamente più favorevole al crescere dell’età, sia in considerazione dei maggiori rischi di sviluppare COVID-19 grave, sia per il mancato riscontro di un aumentato rischio degli eventi trombotici sopra descritti nei soggetti vaccinati di età superiore ai 60 anni.
Sulla base di tali considerazioni, una circolare del Ministero della Salute, tenendo conto del parere della Commissione Tecnico Scientifica (CTS) di AIFA espresso il 7 aprile 2021, ha raccomandato l’uso preferenziale del Vaxzevria in persone di età superiore a 60 anni. Una successiva circolare del Ministero della Salute, acquisito il parere della CTS del 20 aprile 2021, tenuto conto delle analogie esistenti tra i due vaccini (Janssen e Vaxzevria), sia per quanto riguarda le piattaforme utilizzate (vettore adenovirale in entrambi i casi) che per la tipologia di eventi (in particolare relativamente al quadro clinico e all’età di insorgenza), ha stabilito che per il vaccino Janssen debbano essere previste le stesse condizioni di utilizzo del vaccino Vaxzevria.
10. C’è un razionale per decidere cosa fare della seconda dose per i soggetti < 60 anni che hanno già assunto la prima dose di Vaxzevria?
Questa problematica riguarda solamente il vaccino Vaxzevria, in quanto il vaccino Janssen prevede una singola somministrazione.
Come si è visto, i casi di Vaccine-induced Immune Thrombotic Thrombocytopenia (VITT) riportati dopo la prima dose hanno riguardato pochi soggetti per milione di vaccinati, prevalentemente di sesso femminile, e concentrati nella fascia di età fra 25 e 60 anni.
La mancanza di una definizione del meccanismo eziopatogenetico alla base dei casi di trombosi venosa in sedi atipiche accompagnata da piastrinopenia rende difficile prevedere se, e in quale misura, tali complicazioni possano verificarsi dopo la seconda dose nei soggetti che si trovano nella fascia di età in cui si sono verificati la maggior parte dei casi di VITT.
Un’ipotesi patogenetica prevede che Vaxzevria, ed in particolare il vettore adenovirale di cui si serve, possa attivare con meccanismi ancora non definiti la cascata coagulativa e che ciò porti, in soggetti con predisposizioni non identificate, al raro fenomeno trombotico in sedi atipiche.
In questo caso è ragionevole attendersi che con la prima somministrazione del vaccino si sia già avuta la cosiddetta “deplezione dei suscettibili”, ovvero una sorta di selezione dei soggetti che per ragioni non note sono più esposti all’azione di questi ipotetici meccanismi protrombotici, e che pertanto eventuali manifestazioni avverse siano ancora più rare a seguito della seconda dose.
Un’ipotesi alternativa porta a supporre che alla base delle manifestazioni trombotiche vi possa essere un meccanismo auto-immune, con la produzione di auto-anticorpi in grado di attivare la coagulazione. Questa ipotesi è stata suggerita dal gruppo tedesco di Greinacher e recentemente pubblicata sul New England Journal of Medicine, e prevede che Vaxzevria induca la produzione di auto-anticorpi che, attraverso un’interazione con il Platelet Factor 4, sono in grado di attivare le piastrine e la coagulazione in generale, provocando un quadro pro-trombotico simile a quello che si osserva in corso di piastrinopenia da eparina (HIT).
Analoghe osservazioni della presenza di anticorpi anti-PF4 in soggetti con VITT sono state riportate anche da altri Gruppi, ed anche in associazione con un altro vaccino con vettore adenovirale.
In questa ipotesi la riesposizione al vaccino potrebbe portare a manifestazioni cliniche importanti in alcuni soggetti che in occasione della prima dose avevano già attivato una risposta immunitaria anomala, anche se clinicamente non evidente.
Anche se nella “classica” HIT non vi è evidenza che la ri-esposizione all’eparina a distanza di più di 3 mesi dal primo episodio sia associata ad una ricomparsa del fenomeno [28], nel setting particolare della vaccinazione con Vaxzevria non si può escludere che un soggetto che non abbia sviluppato la rara reazione coinvolgente le piastrine con la prima dose, non possa farlo con la seconda.
Alla data del 12 maggio sono stati riportati da parte della Medicines & Healthcare products Regulatory Agency (MHRA) inglese 15 casi di trombosi atipiche con piastrinopenia su circa 9 milioni di seconde dosi di Vaxzevria somministrate, il che sembrerebbe corrispondere, al momento, ad un segnale più debole di quello riscontrato per le prime dosi e comunque definibile come molto raro.
Benché tale dato sembri avvalorare l’ipotesi della “deplezione dei suscettibili”, e rassicurare sulla somministrazione delle seconde dosi, va osservato che non sono disponibili al momento informazioni sull’età e sesso di questi ultimi casi. Pertanto la sicurezza della somministrazione di Vaxzevria nei soggetti di età inferiore a 60 anni rimane un tema ancora aperto, e sul quale vi sono margini di incertezza.
Nonostante queste incertezze, il Gruppo di Lavoro Emostasi e Trombosi ritiene che il completamento della schedula vaccinale rappresenti la strategia di contrasto alla diffusione del virus SARS-Cov-2 che garantisce il migliore livello di protezione.
Nel contempo, l’attenta attività di farmacovigilanza già in atto consentirà di raccogliere dati aggiornati e stabilire l’eventuale necessità di formulare ulteriori raccomandazioni volte ad ottimizzare, ove appropriato, il profilo beneficio/rischio nel singolo paziente.