Nessuno sarà più sé stesso come prima. La pandemia sta lasciando segni profondi sulla psiche, rischiando di compromettere anche a lungo termine benessere e salute mentale. E ad essere colpiti sono quanti si sono scontrati faccia a faccia con la malattia, come le famiglie delle vittime e i pazienti guariti dal virus, gli operatori sanitari che l’hanno combattuta in prima linea. Ma un anno di Coronavirus sta minando l’equilibrio di molti. Fino a un individuo su tre potrebbe infatti manifestare sintomi cronici o persistenti, che vanno da insonnia a incubi ed ansia: è il cosiddetto disturbo post-traumatico da stress (Ptsd). Le donne sono la categoria più a rischio, conciliare famiglia e lavoro durante il lockdown ha pesato più che mai.
A scattare la fotografia, a un anno dalla scoppio della pandemia di Covid-19, una revisione sistematica della
Società Italiana di Psichiatria (Sip) degli studi pubblicati sul tema Covid e salute mentale.
Diversi lavori condotti in Italia, Spagna, Cina, India, Irlanda e Israele hanno valutato la presenza di sintomi della Sindrome post traumatica nella popolazione generale, e nel complesso è stata riscontrata una incidenza del 30%.
“Il disturbo da stress post-traumatico è un disturbo psichiatrico che può svilupparsi in seguito all’esposizione ad eventi traumatici così eccessivi da determinare uno sconvolgimento psichico – spiegano
Massimo di Giannantonio ed
Enrico Zanalda, co-presidenti della Società Italiana di Psichiatria – non è un evento che si realizza immediatamente dal punto di vista clinico, ma ha bisogno di tempo per costruirsi. Gli effetti sulle persone sono a lungo termine e talvolta cronici, e dipendo anche dalla capacità del soggetto di adattarsi e affrontare le avversità. Se nella prima fase della pandemia abbiamo osservato un preoccupante aumento dei livelli di ansia, depressione e insonnia, lo stress persistente di una situazione di emergenza che dura da quasi un anno, senza alcuna certezza di uscirne a breve, rappresenta un evento traumatico cronico che è ancora in divenire ma di cui vediamo già gli effetti nel tempo, allargati alla popolazione generale”.
Il dilagare del disturbo post traumatico da stress, ricordano gli esperti era già emerso in occasione dell’epidemia di Sars del 2003, con effetti psichici negativi, manifestati ad esempio con disturbi del sonno, che perduravano anche a 30 mesi di distanza.
“In era Covid – aggiungono quindi gli esperti – i dati sembrano svelare una realtà simile nella popolazione generale, a cominciare dagli under 50 e dalle donne, molto probabilmente per un sovraccarico legato al ruolo di caregiver da bilanciare con il lavoro e la gestione della casa. In particolare, poi, l’analisi mostra che a infierire sull’equilibrio psichico delle persone sono state soprattutto le condizioni di isolamento, la perdita di libertà, le preoccupazioni per l’impatto del virus sulla gravidanza. Mentre il più grande fattore protettivo sembra essere una condizione di benessere spirituale”.
La maggior parte degli studi epidemiologici presi in esame indica che i sopravvissuti al contagio hanno una maggiore probabilità di disturbi a lungo termine, seguiti dalle famiglie delle vittime e dagli operatori sanitari.
Sulla base delle evidenze ad oggi disponibili (in base a studi condotti in Italia, Cina e Corea), sottolineano gli esperti “possiamo stimare che il 96% dei sopravvissuti al virus sperimenta i sintomi della Sindrome Post Traumatica da Stress, con rischio concreto di deterioramento cognitivo e psichico, fino anche ad arrivare in casi estremi al rischio di suicidio. A rischiare di più sono coloro che hanno vissuto l’incubo della ventilazione meccanica nelle unità di terapia intensiva: fino a uno su due (dal 15% e il 51%) di questi pazienti è a rischio di sviluppare disturbi psichiatrici come la PTSD con allucinazioni, ricordi di panico e ansia che potrebbero persistere anche fino a 5 anni di distanza. Incubi ed allucinazioni sono lamentati dal 79% di questi pazienti più gravi”.
La popolazione anziana che è passata dalla ventilazione meccanica, invece, nell’80% dei casi può avere come conseguenza episodi di Delirium (confusione mentale), che aumentano il rischio di PTSD e negli over 80 di disturbo neurocognitivo.
La situazione è risultata particolarmente gravosa anche tra gli operatori sanitari. Grazie a una metanalisi sulla letteratura scientifica condotta da dicembre 2019 a giugno 2020, che includeva 44 studi su un totale di 69.499 lavoratori, è emersa un’incidenza del PTSD che varia dal 7,4% al 37,4%; l’utilizzo per molte ore di Dpi è associato a sudorazione eccessiva, disidratazione e disconforto mentre la carenza di Dpi al maggior rischio di contrarre l’infezione. Lo studio mette in luce gli infermieri come categoria più fragile. Altri fattori presumibilmente associati a malessere psichico sembrano essere lavorare in reparti di isolamento per più di 12 ore al giorno, la messa in quarantena, l’avere familiari o amici che hanno contratto il Sars-CoV-2 e la scarsa qualità del sonno. In generale gli operatori sanitari sono risultati suscettibili ad elevati livelli di burnout durante la pandemia. Elevati livelli di ansia o depressione, turni di lavoro superiori alle otto ore al giorno e l'essere assegnati a nuove postazioni lavorative, sono risultati i fattori maggiormente correlati a punteggi più alti nella scala di valutazione del burn-out. Fattori di protezione invece sono avere un partner stabile e maggiore esperienza in reparti di rianimazione.
Un altro studio pubblicato sull’International
Journal of Migration, Health and Social Care indica i caregivers come particolarmente esposti allo stress da pandemia. A pagare sono in particolare quanti assistito le persone anziane: difficoltà nel garantire il livello usuale di assistenza, preoccupazioni legate al rischio di contagiare il proprio assistito, specie in situazioni di badanza senza un regolare contratto di lavoro, ha reso quasi impossibile fornire l’usuale continuità assistenziale durante il lockdown.
“Il malessere psichico dilagante legato alla pandemia, le incertezze socioeconomiche ad essa riconducibili e anche la durata prolungata della stessa con la consapevolezza di dover convivere a lungo con il virus – sottolinea Zanalda – vanno prese in carico subito, con tutti i mezzi a nostra disposizione, compresa la telemedicina, pena il rischio di trovarci a breve di fronte a un boom di nuove diagnosi di disturbo post-traumatico, che a sua volta può compromettere anche la salute fisica delle persone. Se ansia, insonnia, frustrazione e irascibilità si protraggono per più di tre settimane è necessario rivolgersi allo specialista. La telemedicina in particolare, permette oggi di fornire un’alternativa, valida ed efficace di supporto psicoterapico – conclude di Giannatonio – con la possibilità di intervenire tempestivamente ed adeguatamente, permettendo di elaborare l’esperienza traumatica del Covid-19 e controbilanciare le condizioni di isolamento e distanziamento che contraddistinguono la pandemia”.