Identificati due nuovi marcatori cellulari e genetici in grado di predire la sopravvivenza dei pazienti affetti da neuroblastoma. La scoperta è il frutto di uno studio realizzato dall’area di ricerca di
Oncoematologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, in collaborazione con la
Fondazione Bruno Kessler di Trento. La ricerca, finanziata da
Airc e Ministero della Salute, è stata pubblicata sulla rivista scientifica
Nature Communications. Oltre a fornire nuovi strumenti per la prognosi, i risultati ottenuti consentiranno di individuare i pazienti oncologici che potranno beneficiare maggiormente di terapie immunologiche per sconfiggere il tumore.
Il neuroblastoma è il tumore solido extracranico più comune dell’età pediatrica (rappresentando circa il 7-8% dei tumori nei bambini). L’età media alla diagnosi è di 18 mesi e nel 90% dei casi il neuroblastoma si manifesta prima dei 7-8 anni di vita. Nella metà dei pazienti, il neuroblastoma viene diagnosticato nella sua forma metastatica, e causa il 15% delle morti in oncologia pediatrica. Le attuali terapie, per quanto articolate e comprendenti vari approcci, non sono purtroppo sufficienti per eradicarlo definitivamente in una larga percentuale di pazienti.
Lo studio pubblicato ha coinvolto 104 pazienti con neuroblastoma diagnosticati all’Ospedale Bambino Gesù ed i risultati ottenuti sono stati validati sia in una casistica di altri mille pazienti con neuroblastoma, che nelle casistiche di pazienti con melanoma, cancro al colon, cancro alla mammella e tumori testa-collo, i cui dati sono pubblicamente disponibili. Le analisi statistiche sono state elaborate dalla Fondazione Bruno Kessler di Trento.
I ricercatori hanno analizzato la quantità di cellule del sistema immunitario presenti nei tessuti di neuroblastoma prelevati dai pazienti e hanno osservato che i tumori più aggressivi erano quelli che contenevano meno infiltrazione di cellule dendritiche e cellule natural killer (NK), due popolazioni di cellule che giocano un ruolo cruciale nella risposta del sistema immunitario. Hanno anche identificato dei geni associati alla presenza di queste cellule nei tessuti, osservando un’aumentata espressione nei pazienti con prognosi migliore.
Le cellule dendritiche e le cellule NK, dunque, sono state riconosciute come marcatori cellulari a largo significato prognostico, in grado cioè di offrire un elemento importante di predizione per la sopravvivenza dei pazienti affetti da neuroblastoma. In breve, un paziente con un neuroblastoma ricco di queste specifiche cellule (e con espressione incrementata di geni relativi alla loro funzione) avrà una buona probabilità di sopravvivere al tumore. Queste cellule rendono di fatto il sistema immunitario più capace di controllare la crescita e lo sviluppo delle cellule tumorali, contribuendo a migliorare anche l’efficacia dell’azione di controllo mediata dai linfociti T.
C’è un ulteriore caratteristica di questi due marcatori (cellule dendritiche e cellule MK) che li rende particolarmente promettenti. La loro presenza risulta infatti correlata a quella di altri due importanti marcatori predittivi della risposta immunitaria, le proteine PD-1 e PD-L1. Si tratta di due molecole che giocano un ruolo di inibitori del sistema naturale di immunosorveglianza (immune check-point inhibitors), che vengono attivati con l’inganno dai tumori, impedendo di fatto al sistema immunitario di controllare adeguatamente la crescita delle cellule tumorali. L’immunoterapia è oggi in grado di bloccare questo meccanismo di depotenziamento della risposta immunitaria attraverso anticorpi specifici che disattivano l’azione di PD-1 e PD-L1, ripristinando la corretta risposta del sistema immunitario. La presenza, dunque, dei marcatori PD-1 e PD-L1 nei tessuti tumorali offre un bersaglio preciso alla terapia immunitaria e ne garantisce l’efficacia.
Le prospettive. Lo studio pubblicato dai ricercatori del Bambino Gesù conferma che un’arma vincente per sconfiggere il neuroblastoma può essere l’immunoterapia. I tumori contenenti cellule dendritiche e cellule NK, infatti, sono associati a buona prognosi ed hanno i requisiti per poter rispondere positivamente alla terapia immunologica indirizzata ai bersagli PD-1 e PD-L1. Questo significa anche che, per migliorare la prognosi dei pazienti con forme di neuroblastoma più aggressive, è possibile adottare strategie terapeutiche in grado di aumentare il contenuto di queste cellule nel tumore, migliorando in questo modo sia la reattività naturale del sistema immunitario, sia la sua capacità di rispondere alle terapie immunologiche mirate che abbiano come target PD-1 e PD-L1.