Nel 2020 si è tenuto il research day, la giornata conclusiva del primo biennio di SMALab, il laboratorio di management nato dalla collaborazione tra SDA Bocconi e Biogen Italia per supportare sistemi, professionisti e pazienti nel migliorare la qualità delle cure per le persone affette da atrofia muscolare spinale (SMA).
In questi primi due anni sono stati coinvolti 36 esperti nella presa in carico di pazienti con SMA, provenienti da 25 aziende sanitarie di 12 regioni italiane. I clinici sono stati coinvolti sia negli 8 workshop, che nelle attività di ricerca, svoltisi nel corso del biennio. I primi hanno affrontato i processi di trasformazione che il Ssn e i sistemi regionali stanno affrontando in questa fase storica del SSN, colpito dalla pandemia, mentre le attività di ricerca hanno messo a fuoco alcuni elementi distintivi dei cosiddetti Centri SMA, strutture che, sotto la stessa etichetta, presentano caratteristiche diverse.
Marika Pane, direttore clinico dell’area pediatrica del centro NeMO di Roma, ha ricordato che “siamo in un momento di grande entusiasmo e novità per quanto riguarda la SMA: nel giro di pochi anni abbiamo radicalmente cambiato la storia naturale della malattia, non solo con gli standard di cura, ma soprattutto grazie alle terapie. Questo è solo l’inizio però: abbiamo vinto una battaglia, non ancora la guerra”.
Preservare l’expertise specialistica
Tra gli argomenti discussi dagli esperti durante il research day, vi è quello di unità di patologia per la SMA; sul territorio nazionale vi sono, infatti, più centri di competenza per la gestione di questa patologia rara (denominati centri SMA), che mostrano alcuni elementi tipici di una unit di patologia. In primo luogo, i centri hanno expertise clinico-assistenziali di tipo specialistico e ultra specialistico poiché sono la malattia e la conoscenza di essa a richiederle e non tanto (o solo) la terapia.
Le relazioni tra le vocazioni specialistiche dei singoli, l’orientamento specialistico delle UO all’interno delle quali operano e la rete di competenze presenti all’interno di ciascun contesto aziendale rappresentano condizioni fondamentali per il mantenimento dei saperi e delle pratiche che la gestione della malattia richiede. Tali connessioni appaiono fondamentali per tutelare il livello di specializzazione “relativa” che ogni patologia rara rappresenta nel portafoglio di competenze di professioni e strutture organizzative (ad esempio, le Unità Operative) per via dei numeri limitati. La ricerca ha permesso di osservare che i professionisti seguono anche altre patologie neuromuscolari e, nel 58% dei centri coinvolti, il volume delle attività delle Unità operative dedicate alla SMA sulla media delle attività complessive dell’UO è inferiore al 5%. Tra le ipotesi avanzate, si è discusso della possibilità di istituire soglie minime di attività per preservare l’expertise specialistica.
Inoltre, il presidio delle competenze specialistiche avviene attraverso processi di integrazione tra ricerca, assistenza e formazione, che nel 92% dei casi avviene con sforzi e strumenti differenziati.
A questo proposito
Tiziana Enrica Mongini, responsabile dell’Unità semplice di Malattie neuromuscolari dell’Azienda ospedaliera Città della salute di Torino, ha evidenziato la necessità crescente di personale che con continuità possa contribuire al lavoro di equipe, “specialisti che lavorano con borse di studio, questa è una criticità su cui si dovrebbe intervenire per migliorare la qualità dell’assistenza”. Il numero di competenze che la SMA richiede è ampio e durante il confronto è emerso che ciascun centro attiva almeno 13 professionisti tra cui pneumologi, infermieri, fisiatri, nutrizionisti e anestesisti.
Studiare le configurazioni organizzative per preservare l’expertice e la qualità delle cure
È chiaro che non è possibile ritrovare ovunque le condizioni per attivare un centro SMA. L’osservazione del campione di 37 realtà esistenti ha permesso di osservare tre configurazioni organizzative: quella “concentrata”, così denominata poiché assembla fisicamente una serie di servizi e competenze specialistiche all’interno di un’unica responsabilità organizzativa, è diffusa nell’11% del campione; quella “funzionale intra-aziendale”, capace di intercettare all’interno della medesima azienda sanitaria i servizi necessari a rispondere ai fabbisogni di diagnosi e cura, è una forma di coordinamento funzionale e rappresenta la fattispecie più ricorrente (70% dei casi); infine, quella “a rete interaziendale” che, diffusa nel 19% del campione, beneficia di collaborazioni interaziendali per offrire i servizi dedicati alla persona e alla sua famiglia. Dalla discussione è emerso come non esiste un modello migliore in assoluto: l’organizzazione e le competenze di management giocano un ruolo centrale per serrare le fila di un ampio numero di competenze specialistiche e di servizi che devono conoscere le specificità della malattia.
Come ha impattato il Covid-19
Il primo biennio di SMALab ha conosciuto, nel suo secondo anno, la pandemia da Sars-Cov2, che ha visto i centri SMA rivedere le pratiche clinico assistenziali e aprirsi alle esperienze di erogazione in formato digitale. Oggi si pone quindi il tema di come trasformare il patrimonio di esperienze messe in campo dai vari centri per organizzare un’offerta multicanale che vada al di là dell’emergenza offrendo alternative utili alla continuità delle cure.
Il management della multicanalità infatti offre numerose opportunità, ma richiede anche la revisione dei percorsi realizzati finora, la definizione di standard of care nell’uso del digitale e la costruzione di nuove agende e turnistica del personale a seconda delle modalità di erogazione dei servizi.
Tutte sfide che saranno analizzate nel secondo biennio dello SMALab, che si chiuderà nel 2022 con il secondo research day.