Non vi è dubbio che la pandemia da Covid 19 e i lockdown che si sono verificati con fasi alterne abbiano rappresentato una situazione di massima criticità ma è altrettanto certo che al momento non è stata registrata la necessità di ridurre, fosse anche solo per motivi di garanzia, il ricorso alle terapie oncologiche in ospedale. Si sono verificate invece maggiori complessità di accesso alla diagnostica, a cominciare dalla sospensione per almeno due mesi degli screening che ha rappresentato due mesi di fermo per individuare soggetti con diagnosi precoce di tumore.
Questo l’assunto inziale, condiviso da tutti i partecipanti, e che ha dato l’incipit al primo incontro interregionale organizzato da
Quotidiano Sanità, con il supporto incondizionato di MSD e la direzione scientifica dell’Associazione Periplo, nell’ambito del più ampio progetto di approfondimento sul tema della presa in carico del paziente oncologico ai tempi della pandemia da Coronavirus. Base di partenza per orientare il futuro di questo settore così delicato e importante dell’assistenza sanitaria, che se oggi si trova nel guado di un torrente gonfio d’incertezze ed emergenze, domani dovrà trovare nuova linfa organizzativa e certezze di governo.
Al primo incontro virtuale hanno partecipato i rappresentanti di Campania, Sicilia, Calabria e Puglia insieme ad esperti e rappresentanti scientifici del settore e più in particolare
Ugo Trama (Resp. Politiche del Farmaco Reg. Campania),
Sandro Pignata (Istituto Pascale),
Vincenzo Adamo (Ao Messina),
Lucia Li Sacchi (Direz. Prog. Reg. Sicilia),
Antonino Iaria (Asp Reggio Calabria),
Domenico Galetta (Ist. Tumori Di Bari)
Davide Croce (Direttore Economia e Management Liuc)
Gianni Amunni (Periplo) e
Saverio Cinieri (Pres. Eletto Aiom)
“Con tutte le difficoltà del momento” ha quindi esordito in apertura dei lavori
Gianni Amunni, Vicepresidente di Periplo e DG dell’Istituto per lo Studio la Prevenzione e la Rete Oncologica della Toscana “c’è stata una sostanziale tenuta della presa in carico del paziente oncologico da parte dei Servizi Sanitari Regionali. Questo mantenimento della presa in carico, questa tenuta, si è verificata essenzialmente perché si è cercato il più possibile di fare azioni che in qualche maniera potessero prendere ugualmente in carico il paziente oncologico con modalità organizzative diverse”. E questo è un elemento che ha portato a tutta una serie di esperienze, purtroppo a macchia di leopardo, che lo stesso Amunni ha così sintetizzato: “Abbiamo assistito alla domiciliazione di alcuni farmaci ospedalieri, abbiamo visto un maggior ricorso, il più possibile strutturato, alle tele-visite e al tele-consulto, si è cercato in alcune realtà di utilizzare strutture del Chronic Care Model o delle cure intermedie per prendere in carico bisogni a basso carico assistenziale, si è pensato, che buona part del follow-up potrebbe tranquillamente essere fatta nel territorio”.
Il punto, condiviso tra tutti i partecipanti, è stato dunque di verificare quante di tutte queste esperienze non costituiscano una risposta emergenziale e possa invece essere la base la sperimentazione di un nuovo modello di assistenza per il paziente oncologico. Quello, appunto, che in estrema sintesi si pone come obiettivo primario di una Rete Oncologica ben strutturata.
Del resto, a prescindere dalla situazione pandemica, è acclarato che l’Ospedale è sempre più una struttura per acuti, che lo stesso ospedale rischia di essere per alcuni bisogni del tutto inappropriato, che la maggior parte della storia natura del paziente oncologico si svolge al di fuori delle mura ospedaliere e, sottolinea Amunni “che ci sono bisogni sociali e sanitari per il paziente oncologico sia prima sia dopo la dimissione dall’ospedale”. Si pone quindi con forza il problema di ripensare in qualche maniera la declinazione del percorso oncologico mettendo a disposizione più setting assistenziali, cercando al contempo il più possibile di dare senso a quel termine largamente abusato che è quello dell’integrazione ospedale-territorio.
La Rete siciliana. A giudizio di
Vincenzo Adamo, Responsabile della rete Oncologica Siciliana e Direttore Oncologia Medica AO Papardo di Messina “vi è senz’altro un problema di organizzazione ma avendo toccato con mano il difficile rapporto tra ospedale e territorio, il porvi mano e rimedio costituirà il lato positivo del prossimo futuro. Di certo l’ospedale deve essere alleggerito di molte cronicità, di molte situazioni che si possono e si devono gestire in una maniera diversa”. Per Adamo vi è però anche una componente culturale da non sottovalutare. Gli italiani sono stati abituati abbastanza male e forse solo da poco la popolazione del centro-nord ha cominciato a capire un po’ di più la necessità di distacco fra ospedale e territorio. “Nell’area centro-sud” osserva “questa consapevolezza è ancora lontana. È un punto di vista proprio di molti pazienti che vogliono ancora sempre l’ospedale, vogliono sempre un riferimento ben preciso, dove sentirsi protetti. Insomma, c’è anche un aspetto di maturazione generale ma questa pandemia sta contribuendo, paradossalmente, in maniera positiva perché le persone si stanno rendendo conto che non si può fare tutto dentro l’ospedale, che ci sono cose che possono essere sicuramente portate nella periferia, sul territorio, purché naturalmente attrezzato, qualificato ma più che altro, organizzato”.
Nel 2014, ha quindi fatto eco
Lucia Li Secchi della Direzione regionale alla programmazione della Regione Siciliana “la Regione ha avviato un coordinamento regionale per la presa in carico dei pazienti oncologici producendo molti documenti di tipo organizzativo. Nel 2019 il coordinamento è stato rinnovato e sebbene in questo momento il Covid richieda parecchia attenzione, in questo anno di attività sono stati già predisposti e in dirittura di arrivo diversi PDTA come quello per il colon retto, il polmone, ed è stato già esitato il PDTA per il carcinoma della mammella. Poiché è necessario che la presa in carico oncologica abbia un approccio multidisciplinare, il PDTA è uno strumento assolutamente fondamentale per la gestione globale del paziente in tutti gli aspetti e in tutte le fasi della patologia”.
La Campania ha iniziato dal digitale
Il percorso intrapreso dalla regione Campania è stato invece differente. “Abbiamo voluto seguire l’intuizione” spiega
Sandro Pignata dell’Irccs Pascale di Napoli di costruire la rete oncologica intorno a uno strumento informatico. Al di là dei percorsi, dei documenti scritti e anche degli accordi tra le varie strutture, la chiave di volta è stata proprio la costruzione di uno strumento informatico ad hoc che fosse adatto a quello che noi volevamo ricercare e ai nostri obiettivi: alimentare la multidisciplinarietà agevolando percorsi di teleconsulto e telemedicina, evitare la “polverizzazione” cioè fare in modo che i pazienti fossero trattati in appropriatezza dai centri più esperti. Per arrivare a questo abbiamo avuto bisogno di un lavoro tecnico basato sull’analisi delle SDO da parte anche del Registro Tumori, ma anche di una decisione politica totalmente impopolare in epoca pre-elettorale: identificare i centri chirurgici di eccellenza e impedire il pagamento del DRG ai centri non identificati come qualificati”. Una scelta che ha sollevato reazioni molto forti anche in sede giudiziaria, tutte risoltesi a favore delle scelte della Regione. “per facilitare il percorso tra territorio e ospedale abbiamo iniziato a lavorare al contrario” aggiunge Pignata “e cioè facilitando il percorso dall’ospedale al territorio, attivato dei servizi di continuità territoriale insieme ad un meccanismo di comunicazione rapida attraverso lo stesso sistema informatico per cui, una alla volta, abbiamo coinvolto tutte le sette ASL della Regione. Da gennaio a oggi abbiamo attivato il percorso di continuità territoriale per 1.100 pazienti, il sistema è in continua evoluzione, e se confrontati ai 30mila potenziali pazienti della nostra Regione sembrano ancora pochi, soprattutto in periodo Covid crediamo sia stato un buon risultato. Soprattutto considerando la tipologia di prestazioni che eroghiamo e che spaziano dalla sostituzione dei cateteri vescicali alla gestione delle stomie, all’attivazione della nutrizione fino alla palliazione, le trasfusioni a domicilio. Sono cose che i pazienti e le loro famiglie percepiscono come reali e utili”.
“La rete” ha sottolineato
Ugo Trama, Responsabile delle politiche del Farmaco e dei Dispositivi della Regione Campania “va implementata, va sposata, va contestualizzata e va comunque implementata quotidianamente. Il Covid ci ha insegnato che dove esiste un processo di informatizzazione, dove esiste una rete ben strutturata, sicuramente il paziente riesce a essere trattato meglio e non viene completamente abbandonato visto anche che purtroppo viviamo ancora una condizione ospedalocentrica”.
“Bisogna lavorare sempre di più una rete anche di valenza nazionale” ha quindi aggiunto Trama “ben strutturata, che superi il concetto di silos sui farmaci poiché serve una buona governance della sanità non una governance della farmaceutica. Semmai dovrebbe esistere una governance della prestazione a 360 gradi e solo attraverso una buona rete nazionale può esistere un’equa, giusta e anche efficace presa in carica assistenziale di un paziente oncologico che si deve poter muovere solo quando ne ha la volontà e non per necessità. I clinici possono formare una rete ben strutturata anche a livello nazionale e possono prendere in carico il paziente in maniera idonea su tutto il territorio. Questo sarebbe il passaggio epocale a cui dovremmo ambire”.
In Calabria i rischi di una rete, senza “Rere”
“In Calabria” ha quindi raccontato
Antonino Iaria, responsabile UO Oncologia presso la Asp di Reggio Calabria “abbiamo avuto diverse esperienze di reti regionali oncologiche che per qualche tempo sono state erroneamente identificate come la rete degli oncologici. Poi, nel tempo, si è capito la reale necessità di avere una rete che comprendesse tutte le discipline. Ma quella che forse è l’ultima edizione della rete oncologica calabrese, pubblicata con il DCA del Commissario ad acta il 15 luglio scorso contiene molte belle cose ma tante altre che non hanno una base logica. Si parla di informatizzazione” spiega Iaria “ma non si chiarisce quale debba essere il budget che diamo a questa rete per informatizzarsi”. Insomma, il rischio è di avere ottimi documenti, senza le gambe necessarie per diventare pratica clinica e organizzativa. La consapevolezza, però, che vi sia la necessità di abbattere simbolicamente i muri dell’ospedale è ormai diffusa. “Dobbiamo davvero fare il possibile per avere una vera integrazione ospedale-territorio, anzi territorio-ospedale-territorio, perché il paziente parte dal territorio e deve tornare al territorio”. Convinzioni e consapevolezze che tuttavia si scontrano poi con la (dura) realtà, anzi on veri e propri paradossi. Come quello della ASL di Reggio Calabria che ha pubblicato un bando per 1.500 ore di specialistica, ma l’oncologia non c’è”. “Perché non pensare” ha quindi proposto Iaria “anche agli ospedali di periferia con i medici itineranti…? Medici che oltre a fare attività ospedaliera vanno a fare anche attività domiciliare in casi particolari”.
Puglia: il team è strategico
A giudizio di
Domenico Galetta, Direttore Oncologia medica patologia Toracica Istituto Tumori di Bari, la parola d’ordine di tutto il processo di creazione e implementazione della rete oncologica risiede nel lavoro in team. “Credo sia assolutamente strategico quanto ho sentito, che un DRG può essere anche non rimborsato se un paziente non viene discusso in team. Discutere in team non è essere alla moda ma un diritto del paziente poiché nessuno deve perdere opportunità terapeutiche. Pensiamo al caso di farmaci in sperimentazione, se un paziente non può accedere a una sperimentazione è molto grave dire a questo paziente: tu no. Se può entrare in un trial clinico e per lui esiste un’opzione terapeutica in più, non può esserci cattiva governance ad impedirglielo.
Reti diverse, ma strumenti comuni
“Sarebbe davvero bello” ha precisato
Saverio Cinieri, Presidente eletto Aiom e Direttore UOC Oncologia medica Asl Brindisi “che gli strumenti con cui le reti lavorano o iniziano a lavorare siano gli stessi, le piattaforme siano le stesse. È una prospettiva certamente complessa considerando che abbiamo venti Sistemi Sanitari regionali diversi però noi siamo professionisti, abbiamo ben presente le problematiche che sono insorte con la devoluzione incontrollata, ma dobbiamo sforzarci il più possibile per coordinarci tutti insieme”.
Stiamo cronicizzando il cancro
Un ultimo aspetto, molto importante, è quello introdotto da
Davide Croce Direttore del Centro sull’Economia e il Management in Sanità e nel Sociale della Liuc Business School di Castellanza. “Stiamo, per fortuna, cronicizzando la malattia e questo è un dato di fatto che pochi considerano. Una cronicizzazione che è dovuta a tutte le nuove terapie e a tutte le conoscenze che stanno crescendo ma questo porta con se una conseguenza organizzativa molto importante. Per esempio la carenza di personale specializzato sul territorio che denuncia quanto sia stata sbagliata la programmazione formativa dei nuovi medici. Una pecca che non riguarda soltanto l’Italia ma anche il resto d’Europa. Con il risultato che corriamo il rischio, anzi lo stiamo già correndo, di non avere professionisti per la struttura sanitaria di presa in carico che abbiamo in mente”.
Dal confronto emerso durante questo meeting possiamo individuare chiaramente alcune attività operative su cui le Regioni possono continuare a lavorare, in quanto orientate all’efficientamento del percorso del paziente oncologico:
• Il potenziamento delle reti oncologiche regionali e nazionali, come strumento della corretta presa in carico multidisciplinare del paziente.
• L’identificazione di percorsi del paziente oncologico chiari e condivisi, che prevedano l’identificazione di indicatori ed obiettivi per monitorare i progressi di questo complesso sistema organizzativo
• L’importanza di gestire in maniera più efficiente ed efficace l’integrazione tra ospedale e territorio, evitando la polverizzazione del processo di cura e garantendo una chiara suddivisione di ruoli e responsabilità
• L’importanza di investire in innovazione tecnologica, che permetta il reale e capillare utilizzo degli strumenti della telemedicina e del teleconsulto, che aiutino a decentralizzare alcune attività decongestionando l’ospedale (si pensi in particolare al follow up del paziente)
• La necessità di avere una nuova governance della sanità, che preveda il superamento dei silos e che permetta la valutazione di farmaci ed interventi sanitari considerando anche l’impatto sulle altre voci di spesa (secondo l’approccio HTA)
Appare evidente come l’impatto del COVID 19 sui Servizi Sanitari Regionali abbia velocizzato il loro processo di cambiamento e possa quindi essere vissuto anche come un booster di innovazione organizzativa per sperimentare nuove soluzioni per garantire l’ottimale presa in carico del paziente oncologico.