Sono tre nuovi studi di fase III – tutti pubblicati su New England Journal of Medicine – a confermare l’efficacia di lenalidomide come terapia continua nei pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi o come terapia di mantenimento dopo trapianto autologo di cellule staminali. Il farmaco non è ancora approvato per il mieloma multiplo di nuova diagnosi, ma le tre pubblicazioni sottolineano l’aumento di evidenze cliniche a supporto dell’utilizzo di lenalidomide in questa e in altre situazioni cliniche.
Il primo articolo http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1112704,uno studio sponsorizzato da Celgene International Sàrl, società che produce il farmaco, evidenzia infatti l’efficacia del trattamento continuo con lenalidomide in pazienti anziani con mieloma multiplo di nuova diagnosi. Questa sperimentazione clinica di fase III multicentrica, randomizzata e in doppio cieco, ha comparato l’induzione con melfalan–prednisone–lenalidomide, seguiti da mantenimento con lenalidomide (MPR-R), con melfalan–prednisone–lenalidomide (MPR), or melfalan–prednisone (MP), seguiti da placebo in 459 pazienti ≥65 anni con Mieloma Multiplo di nuova diagnosi non candidabili a trapianto autologo con cellule staminali. I pazienti sono stati seguiti per un follow-up di 30 mesi. La sopravvivenza media senza progressione della malattia è risultata essere significativamente più alta nel primo gruppo (31 mesi), che nel secondo (14 mesi) e terzo gruppo (13 mesi). Allo stesso modo i tassi di risposta erano migliori per la terapia MPR-R (77% rispetto al gruppo di controllo) e per la terapia MPR (68%), piuttosto che in quella MP (50%).
I due articoli aggiuntivi sono invece stati finanziati rispettivamente dal National Cancer Institute
http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1114083e dall’Intergroupe Francophone du Myelome (IFM)
http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1114138, e mettono in evidenza le sperimentazioni di gruppi cooperativi che hanno valutato la terapia di mantenimento con lenalidomide dopo trapianto di cellule staminali autologhe (ASCT): in entrambi questi studi il trattamento ha dato come risultato un ritardo nella progressione della malattia o nella morte, rispetto a placebo.
In particolare il primo studio, la sperimentazione di fase III CALGB ha valutato 460 pazienti con MM di nuova diagnosi che hanno ricevuto lenalidomide o placebo dopo ASCT, fino alla progressione della patologia. Dopo 50 mesi di cura risultavano deceduti o con un peggioramento progressivo della malattia il 20% dei pazienti trattati con lenalidomide, contro il 44% dei pazienti nel gruppo di controllo. Nel successivo follow-up a 34 mesi dei restanti risultavano peggiorati o morti il 37% di quelli curati col farmaco e il 58% di quelli trattati con placebo.
Il secondo studio invece, IFM 2005-02, era una sperimentazione di fase III, controllata, con placebo, per la valutazione dell’efficacia di lenalidomide nel mantenimento dopo trapianto in 614 pazienti affetti da mieloma. Anche in questo caso la sopravvivenza senza progressione della malattia, al follow-up a 34 mesi, era molto più alta nel gruppo trattato con il farmaco (41 mesi) che non in quello di controllo (23 mesi).
Dei risultati ottimi, che vanno a confermare il profilo di efficacia del farmaco anche per trattamenti diversi da quelli per cui è stato già approvato. “Questi studi dimostrano ancora una volta la grande efficacia di lenalidomide nella terapia del Mieloma Multiplo”, ha commentato Antonio Palumbo, responsabile dell’Unità Mieloma, Divisione di Ematologia dell’Università di Torino. “La pubblicazione di tre studi riguardanti lo stesso principio attivo, impiegato nella stessa patologia, su una rivista dell’importanza del New England Journal of Medicine, ne sono la conferma. Lenalidomide, infatti, diventa sempre di più una risorsa imprescindibile per assicurare miglioramenti sostanziali della qualità della vita e della prognosi della malattia.”