L’ipertensione resistente o refrattaria, come dice il nome stesso, è un disturbo difficile da combattere. Persiste nei pazienti nonostante l’assunzione di tre o più farmaci anti-ipertensivi di diverso tipo, rappresentando per circa 120 milioni di persone in tutto il mondo un rischio di morte precoce per malattie renali ed eventi cardiovascolari come ictus, infarto e scompenso cardiaco.
Per fortuna, arrivano oggi nuove conferme dei benefici clinici della denervazione renale, terapia innovativa per il trattamento dell’ipertensione resistente ai farmaci: nel corso dell’ultimo meeting dell’American College of Cardiology svoltosi a Chicago lo scorso marzo, infatti, sono stati presentati sia i risultati dello studio Symplicity HTN-1, che hanno dimostrato la sicurezza e l’efficacia della denervazione renale fino a tre anni, sia quelli dello studio Symplicity HTN-2, che hanno evidenziato una costante, significativa e duratura riduzione della pressione sanguigna a un anno dalla procedura. Inoltre, durante il congresso annuale dell’European Society of Hypertension, terminato il 29 aprile a Londra, sono stati presentati ulteriori dati, derivati sempre dal programma Symplicity HTN-2, della più ampia analisi a 6 mesi dal trattamento.
Gli esperti stimano sia quasi un terzo degli ipertesi trattati a non riuscire a tenere sotto controllo in modo stabile i livelli di pressione arteriosa. Questi pazienti presentano un rischio di eventi cardiovascolari tre volte superiore rispetto agli individui con ipertensione controllata. Ecco perché i dati presentati nell’ultimo meeting sono così promettenti: la pratica della denervazione renale produrrebbe una riduzione media della pressione di -28/-10 mm Hg rispetto ai valori di partenza. Questa procedura chirurgica mininvasiva prevede l’inserimento di un catetere all’interno dell’arteria renale, attraverso il quale vengono disattivate selettivamente le terminazioni del nervo simpatico, che influisce sul funzionamento e sulla risposta degli organi principali responsabili della regolazione della pressione: il cervello, il cuore, i reni e i vasi sanguigni.
I risultati incoraggianti sono stati ottenuti su un campione di 84 pazienti, tra i quali non ci sono stati casi di disfunzione renale, né cambiamenti negli indici di funzionalità del rene e non sono stati osservati gravi eventi avversi correlati alla procedura. La ricerca ha unito i dati relativi alla variazione della pressione sanguigna a 6 mesi di tutti i 49 pazienti sin dall’inizio randomizzati nel gruppo destinato alla denervazione renale, a quelli di 35 pazienti del gruppo di controllo che, soddisfatti i requisiti d’ingresso, sono passati al primo gruppo, dopo la valutazione dell’endpoint primario iniziale (riduzione della pressione a sei mesi dal trattamento).
Symplicity
Il sistema Symplicity, disponibile in Italia dal 2010 è stato sviluppato per migliorare la sicurezza e l’efficacia della procedura di denervazione renale. Nella prima serie di trial clinici, chiamata Symplicity HTN-1, sono stati coinvolti 153 pazienti in 19 centri in Australia, Europa e Stati Uniti. I pazienti dello studio hanno raggiunto una riduzione media della pressione arteriosa di -33/-19 mm Hg a 36 mesi (n = 24) rispetto al basale, dopo il trattamento chirurgico. Una percentuale crescente di pazienti che hanno completato il follow-up ha avuto una riduzione di almeno 10 mm Hg della pressione sistolica. A 6 mesi il 71% dei pazienti è stato classificato come responder; la percentuale è salita al 100% tra i pazienti che hanno completato il follow-up di 3 anni.
Successivamente, la seconda parte dei test: il trial Symplicity HTN-2, uno studio internazionale, multicentrico, prospettico, randomizzato e controllato che ha valutato la sicurezza e l'efficacia della la procedura in 24 centri selezionati, dove 106 pazienti sono stati randomizzati in due gruppi, in un rapporto di uno a uno, o per essere sottoposti a denervazione renale o per mantenere solo il trattamento precedente: i pazienti sottoposti alla procedura dopo 12 mesi di follow-up hanno ottenuto un calo significativo della pressione arteriosa (-28/-10 mmHg dall’inizio), senza differenze significative rispetto al dato riportato in precedenza, dopo 6 mesi di follow-up (-32/-12 mm Hg).
Infine i dati presentati a Londra: 35 pazienti del gruppo di controllo, con pressione arteriosa >160 mm Hg, sono passati nel primo gruppo e sono stati sottoposti al trattamento, dopo la valutazione dell’endpoint primario a 6 mesi dalla randomizzazione. A sei mesi, il calo medio della pressione arteriosa è risultato simile a quello pazienti del braccio sottoposto al trattamento a 6 mesi dalla procedura (-24/-8 mm Hg braccio di trattamento dopo 6 mesi). I risultati sulla sicurezza sono stati ottenuti senza alcun deterioramento significativo della funzione renale e senza complicanze vascolari. Solo un paziente, passato al gruppo di trattamento, ha avuto una dissezione aortica durante l’iniezione del liquido di contrasto per l’esame angiografico. Non si sono verificati altri eventi avversi correlati alla procedura.
"Con l’aumentare della durata del follow-up di questi studi clinici, viene confermata la sicurezza e efficacia del sistema di denervazione renale a lungo termine", ha dichiarato
Massimo Volpe, Presidente della Società Italiana di Ipertensione Arteriosa. "A oggi, questi sono i dati di più lungo periodo sulla denervazione renale."
Tanto che anche a livello internazionale la pratica sta diventando sempre più utilizzata. “Come espresso nella
Position Paper, pubblicata su
Journal of Hypertension, l’European Society of Hypertension esprime interesse riguardo all’utilizzo della denervazione renale per pazienti che non riescono a raggiungere i livelli ottimali di pressione arteriosa, nonostante l’assunzione di numerosi farmaci”, ha spiegato Giuseppe Mancia, direttore della clinica medica e del dipartimento di medicina dell'Università Milano-Bicocca, Ospedale San Gerardo di Monza. “Pur rimanendo in attesa di ulteriori evidenze a lungo termine che possano estendere i criteri di selezione dei pazienti e fornire documentazioni precise sugli effetti benefici e sulla sicurezza della procedura negli anni, gli attuali risultati dei trial clinici con tre anni di follow up sono incoraggianti.”