Aumentare il personale dei centri specializzati nella gestione di malattie trombotiche e cardiovascolari, incrementare la rete territoriale, utilizzare la telemedicina per il controllo in remoto dei pazienti, favorire l’auto-monitoraggio per le persone con una situazione meno critica e accelerare il processo verso terapie più sicure e di facile gestione. Sono queste alcune delle indicazioni emerse da un documento elaborato da
The European House- Ambrosetti con l’intenzione di individuare good practice da applicare ai percorsi di pazienti in terapia anticoagulante e a rischio ictus.
Il punto di partenza delle riflessioni è uno studio sulla gestione dei pazienti cronici durante l’emergenza da Covid-19. L’analisi – effettuata a luglio 2020 – prende in considerazione la gestione dei pazienti con malattie cerebrovascolari e in particolare a rischio ictus in Lombardia, la Regione più colpita nei mesi scorsi dal coronavirus. I dati emersi si riferiscono al periodo marzo-giugno e sono stati integrati dalle informazioni fornite da clinici e pazienti.
A inizio settembre 2020, le persone colpite da Covid-19 in Italia sono oltre 280.000 (più di 35.000 i decessi) e l’età mediana di chi ha contratto il virus è pari a 58 anni. L’85% di loro è over70. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, dall’analisi di 4.190 cartelle cliniche di persone decedute è emerso che il 20,1% era affetto da 2 malattie croniche e il 62,6% da 3 malattie croniche. Tra le patologie preesistenti più frequenti in chi non è guarito figurano il diabete, la cardiopatia ischemica e l’ictus, insieme a molti fattori di rischio quali ipertensione, fibrillazione atriale, scompenso cardiaco e obesità. In Lombardia i casi di Covid-19 notificati a inizio settembre sono più di 102.000.
Diminuiti gli accessi al pronto Soccorso, in crescita la mortalità
Molti studi hanno dimostrato che il Covid-19 può acuire le problematiche cardio-cerebrovascolari esistenti e può anche generare creare complicanze acute di tipo infiammatorio, aritmico e trombotico. Agli effetti diretti del Covid-19 si aggiungono gli impatti sulla salute dovuti al posticipo di alcune attività di diagnosi, controllo e trattamento generati sia dalla riduzione degli accessi nelle strutture sanitarie sia al timore del contagio dei pazienti, soprattutto quelli più anziani.
Tra i fattori più preoccupanti emersi nello studio, la riduzione dell’accesso in ospedale dei pazienti a rischio ictus e, parallelamente, l’aumento della mortalità.
Secondo l’Italian Stroke Organization, che ha effettuato una rilevazione in 81 centri italiani della rete delle unità neurovascolari, i ricoveri per ictus nei Pronto Soccorso sono calati del 50-60%.
Uno studio della Società Italiana di Cardiologia, condotto in 54 ospedali italiani, ha valutato i pazienti acuti ricoverati nelle Unità di Terapia intensiva coronarica tra il 12 e il 19 marzo 2020, rilevando che la mortalità rispetto allo stesso periodo del 2019 era aumentata, passando dal 4,1% al 13,7%.
I mancati accessi al Pronto Soccorso, la limitata attività ambulatoriale e la paura del contagio hanno avuto come conseguenza una maggiore mortalità per cause indipendenti da Covid e quadri clinici più complessi da gestire nei prossimi mesi. Nei primi mesi del 2020, infatti, sono state effettuate meno diagnosi (-53%) di fibrillazione atriale (uno dei fattori di rischio più importanti per l’ictus): si è recato in ospedale solo chi era affetto da forti sintomi.Tuttavia è importante l’intervento tempestivo anche per chi apparentemente sembra meno grave: fino al 30% dei pazienti con ictus lieve può peggiorare nei giorni successivi e rimanere invalido e fino al 15% dei pazienti con attacco ischemico transitorio può avere un ictus più grave nel mese successivo, con un rischio più elevato nelle prime 48 ore.
Potenziamento dei servizi, telemedicina e switch di terapia
Tra le difficoltà evidenziate dagli esperti, emerge in alcuni casi la difficoltà a seguire il follow up dei pazienti. Per questo le principali società scientifiche consigliano di favorire, per i pazienti con fibrillazione atriale e tromboembolismo venoso, il passaggio dalla terapia AVK, che richiede un monitoraggio costante, a quella con DOAC, gli anticoagulanti orali ad azione diretta che necessitano di un numero inferiore di controlli (2/4 anno) rispetto ad un monitoraggio più continuo richiesto dalla terapia con AVK (12/15 volte all’anno). Inoltre i DOAC presentano una più prevedibile risposta clinica, minor interazioni farmacologiche ed alimentari. Un paper redatto dalla Federazione Centri per la Diagnosi della Trombosi e la Sorveglianza delle Terapia Antitrombotiche (FCSA) fornisce delle indicazioni a riguardo e nella fase di Riapertura post COVID, e dove possibile, consiglia lo switch da AVK a DOAC. Inoltre, per chi deve continuare la terapia AVK, è raccomandato l’uso dei coagulometri portatili per la misurazione in autonomia dell’INR.
Il recente Decreto Rilancio del Governo ha riservato 734 milioni di euro al rafforzamento delle cure domiciliari. L’Assistenza Domiciliare Integrata, in un contesto di invecchiamento della popolazione e di pazienti pluripatologici, rappresenta infatti un setting assistenziale fondamentale che in Italia risulta ancora poco sfruttato. Per i pazienti più anziani la possibilità di poter usufruire di un infermiere a domicilio per il controllo della coagulazione eliminerebbe la difficoltà di recarsi in ospedale o presso un laboratorio di analisi, sgraverebbe di lavoro il caregiver con un guadagno di produttività e migliorerebbe anche l’efficacia della terapia (con controlli costanti, in modo da poter essere “aggiustata” in caso di necessità). Una survey di Medi-Pragma ha evidenziato come, negli ultimi 3 mesi, per il 45% degli intervistati è stato necessario modificare la dose della terapia come conseguenza dei controlli dell’INR o degli esami del sangue svolti in laboratorio, inoltre il 70% degli intervistati preferirebbe seguire una terapia che preveda un minor numero di accessi ospedalieri e il 51% una terapia di più facile gestione
Quali opportunità
Il documento di
The European House-Ambrosetti guarda all’emergenza come ad un’opportunità per migliorare il percorso dei pazienti durante e dopo il Covid-19, fornendo alcune indicazioni pratiche a livello organizzativo. Innanzitutto occorre adeguare il personale nei centri TAO ai bisogni dei pazienti, ma anche potenziare una rete decentrata. Per evitare gli assembramenti, le strutture specialistiche sono costrette a ridurre gli accessi. Individuare luoghi più prossimi ai pazienti e disseminati sul territorio potrebbe migliorarne la gestione.
In seconda battuta, occorrerebbe incrementare l’aderenza terapeutica alla terapia anticoagulante, coinvolgendo anche le farmacie nel monitoraggio e implementando la telemedicina. Infine, continuare nella sensibilizzazione del paziente, affinché possa essere coinvolto nel processo decisionale che riguarda il suo stato di salute.