(Reuters Health) – Secondo uno studio condotto in Spagna, i pazienti di mezza età con COVID-19 che mostrano segni di una fibrosi epatica in stadio avanzato – misurato dal Fibrosis Index Based on 4 Factors (FIB-4) – hanno maggiori probabilità di necessitare di ventilazione meccanica.
“Non si sa molto su ruolo della fibrosi epatica nella storia naturale del COVID-19”, dice
Luis Ibanez-Samaniego, dell’Hospital General Universitario Gregorio Maran di Madrid, principale autore dello studio pubblicato dal Journal of Infectious Diseases.
Il team ha esaminato i dati su 160 pazienti con un’età compresa tra i 35 e i 65 anni con COVID-19. La durata media del follow-up è stata 29 giorni e nessuno è stato perso in questa fase dello studio. Il 28,1% dei pazienti aveva un FIB-4 superiore a 2,67, il che indica che erano a rischio di fibrosi epatica avanzata. Questo gruppo aveva anche una maggior prevalenza di fattori di rischio cardiovascolare e di caratteristiche che suggerivano una risposta infiammatoria sistemica, come livelli più elevati di proteina C-reattiva.
Il bisogno di ventilazione meccanica era significativamente superiore che nei soggetti con un punteggio basso (37,8% vs 18,3%). Anche il tempo dalla diagnosi di COVID-19 al ricovero in UTI era significativamente inferiore (cinque giorni vs. 10 giorni).
Tra i fattori che aumentavano significativamente la necessità di ricovero in una UTI figuravano un FIB-4 pari o superiore a 2,67 (odds ratio, 3,41) e precedenti malattie respiratorie (OR 4,54). L’analisi di regressione logistica multivariata e di booststrap ha confermato che il FIB-4 era un fattore di rischio indipendente.
“I nostri risultati”, ha proseguito Ibanez-Samaniego, “sono clinicamente significativi, poiché la fibrosi epatica avanzata secondaria a steatosi epatica associata a malattia metabolica è il principale driver di epatopatia allo stadio terminale e carcinoma epatocellulare nei Paesi occidentali. Il FIB-4, un punteggio validato e ampiamente disponibile per valutare la presenza di fibrosi epatica, potrebbe aiutare i medici a individualizzare il rischio di esiti clinici infausti in pazienti con COVID-19”.
Fonte: The Journal of Infectious Diseases
David Douglas
(Versione Italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)