Test genomici e tumore al seno. “Ideale sarebbe inserirli nei Lea”. Intervista a Carlo Tondini (Ospedale Bergamo)
di Marzia Caposio
11 giugno - Attualmente questi test genomici sono rimborsati in Italia solo in Lombardia e nella Provincia autonoma di Bolzano. Abbiamo parlato del ruolo dei test genomici nella gestione del tumore al seno iniziale di tipo luminale, con particolare riferimento alla pandemia da Covid-19, con Carlo Tondini, direttore Oncologia Medica dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Capire quando effettuare una chemioterapia e quando invece questa può essere evitata con conseguente risparmio per il sistema sanitario e guadagno in salute per le pazienti con tumore della mammella. A riuscirci sono i test genomici, attualmente rimborsati in Italia solo in Lombardia e nella Provincia autonoma di Bolzano. Abbiamo parlato del ruolo dei test genomici nella gestione del tumore al seno iniziale di tipo luminale, con particolare riferimento alla pandemia da Covid-19, con Carlo Tondini, direttore Oncologia Medica dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
In questo particolare momento di emergenza da Covid-19 quali sono i rischi in cui incorrono le donne con tumore al seno che devono sottoporsi a chemioterapia e che ruolo giocano i test genomici?
Il paziente oncologico è una persona fragile in qualunque momento ed esporla a trattamenti potenzialmente pericolosi rappresenta un problema da non sottovalutare. In tempi di Covid il problema aumenta in quanto oltre ai normali effetti diretti del trattamento che il paziente subisce, si aggiunge il rischio portato dal doversi recare in ospedale per il trattamento stesso. Per le pazienti con tumore al seno questo problema sussiste come per tutti i pazienti che fanno chemioterapia, ma in particolare per le pazienti con tumore al seno iniziale per le quali a volte il trattamento chemioterapico ha un dubbio di efficacia, quindi un beneficio marginale, questo problema aumenta ancora di più perché subentra la preoccupazione di esporre queste donne ad un trattamento che in fondo non è essenziale. Da qualche anno, per un sottogruppo di pazienti, numericamente rilevante, con malattia iniziale di tipo luminale cioè sensibile all’azione degli ormoni, abbiamo a disposizione dei test di profilazione genomica che ci aiutano a meglio selezionare quelle pazienti che potrebbero meglio beneficiare di un trattamento chemioterapico o, viceversa, a individuare quelle pazienti a cui possiamo risparmiare un trattamento chemioterapico che probabilmente non offre loro sicuri vantaggi.
Lei lavora in una delle città più colpite dall’epidemia di coronavirus, la città di Bergamo. Siete riusciti comunque ad effettuare i test e, se sì, in che modo questa continuità ha influito nel percorso di cura delle pazienti?
L’oncologia non si è mai fermata durante le settimane della crisi emergenziale. L’ospedale è stato stravolto, tantissimi reparti hanno dovuto convertire completamente la loro attività, ma il paziente oncologico non poteva e non può aspettare, quindi abbiamo cercato di continuare con la nostra attività, al meglio delle nostre possibilità. Per queste donne con neoplasia della mammella in fase iniziale di tipo luminale, abbiamo fatto di tutto per garantire la fornitura dei test di profilazione genomica e siamo riusciti, anche in questo periodo, a proporre dei risparmi di chemioterapia per quelle pazienti per le quali il test risultava favorevole. Inoltre ci siamo anche lanciati nella sfida di identificare alcune donne alle quali offrire preoperatoriamente una terapia, o endocrina o se indicato chemioterapica, proprio per dilazionare la chirurgia senologica in un’epoca in cui le sale operatorie erano tutte chiuse e le terapie intensive tutte occupate da pazienti Covid. Abbiamo quindi utilizzato la terapia preoperatoria in maniera più estensiva rispetto a quello che facciamo normalmente. Il test ci è stato utile in alcuni casi proprio per meglio identificare anche nella fase preoperatoria le pazienti per le quali è più indicato eseguire solo l’ormonoterapia oppure un trattamento chemioterapico. Occorre comunque ricordare che in questo momento l’autorizzazione all’utilizzo dei test, e la loro rimborsabilità, è limitata alla fase postoperatoria.
Il tema della rimborsabilità è molto importante. Attualmente in Italia il test viene rimborsato in solo due regioni, la Lombardia e il Trentino Alto Adige solo per la Provincia autonoma di Bolzano. Cosa significherebbe allargare la rimborsabilità a tutte le regioni italiane?
Questa è una battaglia che noi clinici stiamo portando avanti da molto tempo. In regione Lombardia siamo riusciti a ottenere un risultato sicuramente significativo pochi mesi fa. Non è comprensibile perché le altre regioni siano così in ritardo nell’adottare una decisione che sembra vantaggiosa sia per la popolazione che per le amministrazioni regionali. Non dimentichiamo infatti che uno specifico studio ha dimostrato che l’utilizzo del test genomico nel contesto giusto porta ad un risparmio significativo anche in termini economici. Le battaglie erano in corso già prima dell’era Covid e si spera che questo razionale aggiuntivo derivante dall’utilizzo del test anche in era Covid acceleri l’adozione di queste decisioni. L’ideale sarebbe inserire i test nei LEA nazionali e pretendere che tutte le cittadine italiane che diventano pazienti senologiche abbiamo lo stesso trattamento.