A volte la ricerca in campo medico riserva delle sorprese inaspettate, come quando delle sostanze universalmente riconosciute come nocive si rivelano utili per alcuni tipi di patologie. Uno di questi casi potrebbe essersi verificato anche oggi. Nuovi possibili scenari si sono infatti aperti nella lotta alla sindrome di Rett, grave patologia neurologica che colpisce circa una persona su 10 mila, soprattutto donne, e per la quale non esiste a oggi una cura. Secondo una ricerca italiana, per aiutare a sconfiggere la malattia potrebbe essere utile il batterio dell’
Escherichia Coli, o meglio la tossina CNF1 da esso prodotta, capace di agire sulla plasticità del sistema nervoso limitando i sintomi della patologia. A svelare il ruolo di questo batterio, noto per aver causato appena l’anno scorso più di 3000 casi di avvelenamento da cibo e addirittura a 39 morti in Europa, è uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicato sulla rivista
PLoS One.
Le pazienti affette da questa patologia presentano spesso gravi ritardi nell'acquisizione del linguaggio e della coordinazione motoria e spesso la sindrome è associata a ritardo mentale grave o gravissimo. Secondo quanto emerge dallo studio, trattare gli astrociti con il CNF1 potrebbe però favorire la crescita in vitro dei neuroni coltivati al loro fianco nonché la formazione di sinapsi (sinaptogenesi). Il ruolo nella funzionalità cerebrale di queste cellule della glia, da sempre considerate solo aiutanti dei neuroni, è stato rivalutato progressivamente: attivarle con questo metodo potrebbe avere effetti positivi non solo sui sintomi del morbo di Rett, ma anche per tutte le patologie caratterizzate da anomalie astrocitarie.
Il batterio dell’Escherichia Coli, il cui nome è legato a eventi di cronaca tutt’altro che positivi, potrebbe dunque essersi rivelato lo strumento per curare la sindrome di Rett, invece che trattarne solo i sintomi. “Ogni batterio sviluppa delle capacità per assicurarsi la sua stessa salute, ma talvolta le tossine prodotte da questi organismi si rivelano essere degli enzimi dalle proprietà interessanti”, ha spiegato a Quotidiano Santià
Carla Fiorentini, coordinatrice del gruppo multidisciplinare in ISS che studia la tossina. “Non è la prima volta che succede, basti pensare alla tossina botulinica, che è una delle più potenti che ci sono in natura ed è oggi usata anche in cosmesi. Se si sa come utilizzarle, queste molecole possono essere molto utili in campo clinico”.
Lo studio conferma dunque il ruolo-chiave della tossina, già emerso in un lavoro pubblicato recentemente su
Neuropsychopharmacology: in questo caso i ricercatori Iss avevano dimostrato come in topi transgenici, modello per la sindrome di Rett, la tossina riesca a combattere le alterazioni a livello degli astrociti così come i problemi cognitivi e i deficit di coordinazione motoria tipici della patologia. ma nessuno aveva ancora spiegato quale fosse il meccanismo per cui questo potesse accadere. “Abbiamo così scoperto che CNF1 attiva proteine regolatorie, e che il suo bersaglio sono proprio gli astrociti, su cui ha effetti molto potenti. Una volta esposte a questa tossina le cellule della glia stimolano l’arricchimento dell’albero dendritico, ma soprattutto delle sinapsi e delle connessioni”, ci ha spiegato ancora la ricercatrice. “In questo modo bastano dosi molto piccole somministrate in vivo per avere effetti sulle cavie da laboratorio, che poi continuano a stare bene a lungo”.
Ulteriori risultati si avranno poi nello studio di altre malattie,su alcune delle quali gli scienziati stanno già raccogliendo i primi dati positivi. “Il proseguimento della ricerca prevede lo studio degli effetti di questa tossina su altri modelli animali, sia di patologie neurodegenerative, quali l’Alzheimer, sia di alterazioni del neurosviluppo, associate a disabilità intellettiva e/o motoria”, ha aggiunto Fiorentini. “Obiettivo cruciale e finale dei nostri studi è ovviamente l’avvio della sperimentazione nell’uomo. Quest’ultimo punto richiede la sintesi del CNF1 secondo le Good Manufacturing Practice e lo svolgimento delle varie procedure necessarie per la richiesta di autorizzazione di uno studio di fase I del prodotto da parte di Laboratori accreditati”. In altre parole si deve trovare il centro giusto per iniziare la sperimentazione clinica, ma soprattutto bisogna recuperare dei finanziamenti per farla partire.
In ogni caso, come nel caso di altre sostanze prodotte da specie microbiche, l’aver scoperto l’azione a livello cellulare della tossina potrebbe avere importanti ripercussioni in campo medico. “I risultati si sono rivelati incoraggianti: aprono la strada non solo alla possibilità di un’applicazione terapeutica della tossina CNF1 nella sindrome di Rett ma anche in altre malattie rare con deficit cognitivi e motori”, ha infatti commentato anche
Enrico Garaci, Presidente dell’ISS. “Gli studi più recenti hanno condotto alle prime dimostrazioni in vivo del ruolo di questa sostanza e hanno quindi una maggiore rilevanza translazionale”.