Le evidenze raccolte fino ad oggi evidenziano esplicitamente che esistono differenze importanti nell’insorgenza, nelle manifestazioni cliniche, nelle risposte ai trattamenti e negli esiti di malattie comuni a uomini e donne. E questo sembra emergere anche nel contesto della pandemia da COVID-19. Le statistiche rilevate nel mondo, infatti, parlano chiaro: l’infezione da SARS-CoV-2 produce effetti diversi negli uomini e nelle donne. Questo è quanto emerge sia dalla percentuale dei contagi, sia dal tasso di letalità. Nello specifico, in Cina il tasso di letalità dei casi confermati è pari al 4,7% negli uomini a fronte del 2,8% riscontrato nelle donne [1]. I dati italiani confermano questo andamento con un rapporto di circa 3:1 a vantaggio delle donne che si mantiene costante in tutte le fasce d'età.
Per spiegare questo fenomeno sono state avanzate alcune ipotesi generali tra cui:
- una maggiore tendenza degli uomini al tabagismo (fattore di rischio per contrarre l’infezione e per sviluppare un quadro clinico più grave della malattia)
- una più spiccata abitudine delle donne a dedicare uno spazio significativo della propria quotidianità all’igiene personale
- una risposta immunitaria, sia innata che adattativa, più pronta ed efficace nelle donne che negli uomini.
Bisogna però evidenziare anche le differenze che intercorrono tra donne e uomini quando si comincia ad entrare nei meccanismi alla base dell’infezione. Differenze che possono essere sia di tipo ormonale che genetico.
Il virus responsabile della COVID-19 penetra nelle nostre cellule legandosi a un recettore chiamato ACE2 (Angiotensin Converting Enzyme 2, Enzima di Conversione dell'Angiotensina), enzima che regola la vasocostrizione delle arterie e che si trova sulle cellule dell’epitelio polmonare dove protegge il polmone dai danni causati dalle infezioni, infiammazioni e stress. Quando il virus si lega ad ACE2 ed entra nella cellula, fa diminuire la sua espressione e lo sottrae così allo svolgimento della sua funzione protettiva.
Nelle donne in età fertile gli estrogeni sono in grado di aumentare la presenza del recettore ACE2 facendo sì che questo enzima, anche dopo l'infezione, riesca a svolgere la sua funzione di protezione, in particolare nei confronti dei polmoni. Viceversa gli ormoni androgeni sembra che svolgano un ruolo opposto nell’influenzare l’espressione di enzimi cellulari coinvolti nelle fasi che seguono l’attacco del virus al recettore, favorendo le fasi successive dell’infezione delle cellule polmonari.
Da ultimo, è noto che nelle cellule femminili ci sono due cromosomi X mentre nelle cellule maschili sono presenti un cromosoma X e un cromosoma Y. Nelle cellule femminili quindi, per impedire la ridondante espressione dei prodotti dei geni presenti in doppia copia sui cromosomi X, si verifica una fisiologica inattivazione casuale di uno dei due cromosomi. Tuttavia restano porzioni cromosomiche che sfuggono l’inattivazione e i geni presenti in queste zone possono essere sovraespressi nelle donne. ACE2 è codificato, proprio in queste regioni del cromosoma X che sfuggono all’inattivazione di uno dei due cromosomi X, sostenendo così l’ipotesi di una maggiore espressione di questa proteina nei polmoni delle donne.
Nel tempo, sarà quindi importante effettuare studi specifici, anche retrospettivi, per valutare il ruolo degli ormoni sessuali nelle differenze di genere riscontrate durante questa pandemia, (come per esempio il ruolo della terapia ormonale sostitutiva in donne colpite da COVID-19) e per capire meglio il ruolo dei geni che sfuggono all’inattivazione di uno dei due cromosomi X nelle cellule femminili e dei loro regolatori, per identificare determinanti patogenetici sesso-specifici di progressione della malattia indotta dal virus SARS-CoV-2.
Fonte: Epicentro.iss.it
[1] The Novel Coronavirus Pneumonia Emergency Response Epidemiology Team. The Epidemiological Characteristics of an Outbreak of 2019 Novel Coronavirus Diseases (COVID-19). China CDC Weekly. 2020, 2: 113-122