Superato con successo un ictus o un attacco ischemico transitorio potrebbero non essere finiti i problemi: secondo uno studio della Duke University, infatti, i pazienti che hanno avuto questo tipo di eventi cardiovascolari sono a maggiore rischio di cadere in depressione. Lo
studio, pubblicato sulla rivista
Stroke, indica infatti che non sono solo le possibili disabilità provocate dall’ischemia a portare a disturbi depressivi, ma che questa è spesso presente anche nei casi in cui non ci sono segni evidenti sull’organismo a seguito dell’evento cardiaco.
S
e molto si sa sulle conseguenze degli ictus, eventi in cui dei coaguli di sangue ostruiscono i vasi sanguigni e interrompono l’afflusso di ossigeno al cervello, qualcosa in meno è noto rispetto alla condizione di attacco ischemico transitorio, o Tia. Questo è infatti definito come un disturbo temporaneo di irrorazione sanguigna ad una parte limitata del cervello, che però non arriva a far morire cellule cerebrali e che dunque non dà come risultato disabilità o disfunzioni permanenti. Tuttavia, questo evento, così come il vero e proprio ictus, aumenta le probabilità che il paziente sviluppi disturbi depressivi.
Per dirlo gli scienziati hanno seguito 1450 adulti che avevano subito un ictus ischemico e 397 vittime di Tia, provenienti da 99 diversi ospedali statunitensi: tre mesi dopo il ricovero, il 17,9% dei primi e il 14,4% dei secondi risultava clinicamente depresso. Ma quel che stupiva ancor di più era che un anno dopo l’ischemia, erano ancora il 16,4% dei primi e il 12,8% dei secondi a risultare affetti da disturbi depressivi.
Questo accadeva perché addirittura quasi il 70% dei pazienti andati incontro a ictus o eventi di ischemie transitorie che risultavano depressi non venivano trattati con terapie antidepressive, né a tre, né a dodici mesi dall’evento. “Le alte percentuali di pazienti con disturbi dell’umore che non vengono curati dimostrano come ci sia bisogno di screening mirati per questo tipo di problemi nelle popolazioni considerate”, ha commentato
Nada El Husseini, autore dello studio. “Il controllo degli stati depressivi dovrebbe diventare una procedura di routine a seguito di eventi cardiovascolari maggiori”.
Ma soprattutto, secondo il ricercatore, bisognerebbe informare meglio i pazienti rispetto ai rischi che corrono a livello psicologico. “Quando si osservano i pazienti ricoverati nelle cliniche, si può notare come per queste popolazioni di pazienti sia difficile ammettere di avere un problema di depressione”, ha aggiunto El Husseini. “Forse se sapessero che sono proprio le persone come loro a presentare i rischi maggiori di avere disturbi dell’umore, potrebbero essere loro stessi a discutere dei sintomi coi loro medici”.
Laura Berardi