Le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) “rappresentano una forma particolare di violenza contro le donne” e “hanno assunto le caratteristiche di una vera e propria violazione dei diritti umani, che non possono più essere tollerate e contro le quali l’Assemblea Permanente delle Nazioni Unite ha già approvato, nel 2012, una risoluzione all’unanimità perché vengano messe al bando in ogni stato membro”. È una denuncia senza attenuanti quella lanciata stamattina dalla Conferenza nazionale “Salute globale per la tutela delle donne: è possibile eradicare le Mutilazioni Genitali Femminili?”, tenutasi presso il Ministero della Salute e organizzata dagli Istituti IRCSS “Regina Elena” e “San Gallicano” di Roma, a cui hanno partecipato diversi medici, ricercatori e parlamentari.
La mission scientifica. Il Novecento è stato il secolo in cui il concetto di salute ha delineato un valore universalmente inteso ed ha esteso le aree di intervento nei paesi a Nord e Sud del mondo. Purtroppo, gli sforzi delle comunità internazionali risultano essere ancora insufficienti se confrontati a fenomeni come quello che coinvolge i paesi nell’area sub-sahariana del pianeta: 250 milioni di donne e bambine portatrici di Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) e circa 2% di bambine nel mondo, ogni anno, sono a rischio di essere sottoposte a ‘pratica tradizionale’. Nel mondo globalizzato contemporaneo, del machine learning e dell’intelligenza artificiale che domina i diversi ‘saperi’ scientifici’, la pratica delle MGF non può rimanere una violenza sopita nei corpi delle donne.
La cura, terapia e la promozione della salute, nei paesi di origine e in quelli che sono protagoniste delle mobilità umane, necessitano di azioni concrete, inserite all’interno delle policies e strategie di intervento sanitario. Ciò consentirebbe di coniugare la tutela della salute femminile e di genere, la rimozione di fattori culturali che possano danneggiare la donna e ridurre le discriminazioni. In questa prospettiva il ruolo dei decision makers risulta fondamentale per garantire la tutela delle donne e perseguire i goal 3-4-5-10 previsti dall’Agenda 2030 dell’ONU.
L’analisi del prof. Morrone. È il direttore scientifico del San Gallicano, il prof.
Aldo Morrone, a tracciare la linea comune emersa dal confronto tra medici, ricercatori e parlamentari: “La difficile situazione di violenze fisiche e morali a cui ancora oggi sono sottoposte molte bambine nel mondo, trova nelle MGF una delle sue più efferate e odiose manifestazioni, da situare nel più ampio quadro delle pratiche tradizionali pericolose che comprendono anche i matrimoni, gli aborti e le gravidanze in età adolescenziale. Tutte queste pratiche violano i diritti umani delle bambine e mettono in serio pericolo il loro benessere, la salute sessuale e riproduttiva”.
“Tanto è stato fatto per salvaguardare la dignità e l’integrità fisica e psicologica delle donne, ma è ancor più quello che va fatto. Infatti se ad oggi il numero delle MGF è in continuo aumento, probabilmente dobbiamo chiederci se non abbiamo sbagliato qualcosa nelle modalità di contrasto che abbiamo sino ad oggi adottato e ripensare globalmente le strategie migliori per eradicare questa vergognosa pratica. Un mondo – conclude Morrone - in cui le donne non sono libere, non è un mondo libero e giusto”.
Per la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa, “le Mutilazioni Genitali Femminili sono una forma di violenza che calpesta i diritti di bambine e giovani donne, mettendo a rischio la loro salute fisica e psicologica e che deve vedere tutti quanti noi impegnati in una battaglia che non riguarda solo le donne ma ha a che fare con lo sviluppo dell’intero genere umano. Almeno 200 milioni di ragazze e donne vivono oggi nel mondo con le cicatrici di qualche forma di mutilazione genitale subita nel corso della propria vita. Le mutilazioni genitali vengono praticate principalmente su bambine tra i 4 e i 14 anni di età. Tuttavia, in alcuni Paesi vengono operate bambine con meno di un anno di vita, come accade nel 44% dei casi in Eritrea e nel 29% dei casi nel Mali, o persino neonate di pochi giorni come nello Yemen. La pratica può causare complicanze a breve, medio e lungo termine, tra cui dolore cronico, infezioni, aumento del rischio di trasmissione dell’HIV, ansia e depressione, complicazioni al momento del parto, infertilità e, nei casi peggiori, la morte”.
“L’UNICEF – ha ricordato Zampa - stima che altri 68 milioni di ragazze subiranno mutilazioni genitali da qui al 2030 se non vi sarà una forte accelerazione nell'impegno per porre fine a questa pratica aberrante. In Italia, dove è in vigore la legge 7/2006 per prevenire e contrastare le pratiche di mutilazione genitali femminili, il numero di donne che hanno già subito una mutilazione genitale si stima sia compreso tra 61.000 e 81.000. Ad eseguire le mutilazioni sono essenzialmente donne: levatrici tradizionali o le stesse madri. Ma è impressionante rilevare che oltre 20 milioni in 7 Stati (Egitto, Sudan, Guinea, Gibuti, Kenya, Yemen e Nigeria) sono state sottoposte a questa pratica per mano di un operatore sanitario. Una Risoluzione del Parlamento europeo del 2018 invita a vietare esplicitamente la medicalizzazione".
“I governi degli Stati in cui le Mutilazioni Genitali Femminili sono ancora diffuse – ha proseguito - devono sviluppare Piani di azione nazionali per porre fine a questa pratica. Per essere efficaci, questi piani devono prevedere risorse di bilancio dedicate ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, all’istruzione femminile, al welfare e ai servizi legali. Oltre al contrasto della pratica delle mutilazioni genitali femminili e alla realizzazione di un'attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine già sottoposte a tali pratiche, la Legge 7/2006 prevede lo stanziamento di fondi per la formazione del personale sanitario. Fino al 2009 lo stanziamento era pari a 2,5 milioni di euro annui, scesi fino a circa 174.463 euro nel 2018. Un'integrazione delle risorse ha consentito di riportare lo stanziamento annuale a 500.000 euro. L'impegno come Ministero della Salute è però quello di prevedere maggiori risorse dedicate nella prossima legge di bilancio”.
“Eradicare questa efferata forma di violenza sulle donne è un traguardo raggiungibile ma bisogna agire senza sosta se si vuole che questo impegno si traduca in risultati concreti, duraturi e irreversibili. Si tratta di un percorso ancora lungo e non lineare, ma è la sfida cui siamo tutti chiamati a concorrere. Bisogna creare una vera alleanza tra politica, istituzioni pubbliche, associazioni nazionali e internazionali promuovendo condivisione, momenti formativi, intensificando azioni sanitarie e sviluppando solidarietà tra donne di diversi paesi di provenienza nel Paese di approdo. Solo così potremo vincere una battaglia che è di civiltà e umanità insieme”, ha concluso la Sottosegretaria alla Salute.