Storicamente, per sintetizzare un farmaco, si utilizzano metodi che si basano sulla struttura del bersaglio o sulle informazioni che si ricavano dal fenotipo causato dalla malattia. Ma questi procedimenti non sono i più efficaci. O almeno questo è quanto dicono alcuni scienziati dell’Università della California San Diego, che nella loro ricerca sul cancro alla prostata hanno identificato un nuovo metodo per arrivare alla scoperta di nuovi medicinali: quella che si basa sul pathway genetico della malattia, ovvero la serie di modificazioni che portano alla sua nascita. Lo
studio è stato pubblicato su
Pnas.
“Per 50 anni l’approccio standard per arrivare a sviluppare un farmaco si concentrava molto sul risultato finale della patologia e per niente sul meccanismo che porta ad esso”, ha spiegato
Xiang-Dong Fu, docente dell’ateneo statunitense e co-autore dello studio. “Questo metodo ha prodotto alcune molecole molto efficaci, ma di cui i ricercatori spesso non capivano bene il funzionamento. L’esempio più facile è l’aspirina: ce l’abbiamo da un secolo, ma ancora non abbiamo capito come agisca, in dettaglio”.
Più recentemente, la ricerca si è concentrata nel cercare bersagliin componenti specifici della malattia, come molecole per essa vitali o recettori coinvolti nel processo di patogenesi. Questo approccio ha basi scientifiche più razionali, ma presenta due grandi problemi: “Si possono creare dei farmaci che distruggono target precisi, ma non si ha mai la sicurezza che questo possa avere delle conseguenze impreviste e rischiose, effetti collaterali che potrebbero risultare anche più gravi della malattia stessa”, ha commentato il ricercatore. “Inoltre, ci sono molti punti interni alle cellule che non sono bersagli possibili, se sono quelli l’origine della malattia è molto difficile, se non impossibile intervenire con questo metodo”.
Il nuovo metodo cerca invece di evitare tutti questi problemi, enfatizzando l’analisi delle vie genetiche che portano allo sviluppo della malattia e dei suoi processi, e soprattutto come possono essere alterate per produrre un beneficio. In particolare gli scienziati hanno descritto un metodo basato sulla comparazione di geni associati con alcuni tratti specifici delle malattie, con delle piccole molecole capaci di intervenire nell’espressione dei geni stessi. “L’idea è quella di identificare quali sono i ‘piantagrane’ genetici, e invece di cancellarli o distruggerli, trovare il modo di contenerli”, ha continuato Fu. “La natura non ha infatti creato nessun gene che nello stato normale sia causa di malattia. L’obiettivo è dunque quello di sviluppare dei farmaci che riportino lo stato genetico a quello iniziale, normale: nella maggior parte delle malattie infatti non si vuole distruggere le cellule, ma solo modificarle in modo da farle tornare sane”.
Per dimostrare la validità della strategia,gli scienziati la hanno applicata al caso del cancro alla prostata, che spesso può diventare resistente alla terapia standard, a base di antiandrogeni. In questo modo gli scienziati hanno scoperto che un glicoside cardiaco, il peruvoside, inibisce in maniera potente la diffusione sia dei carcinomi prostatici sensibili alle molecole comunemente usate, che di quelli ad esse resistenti. I ricercatori hanno allora pensato di verificare l’efficacia di un altro glicoside simile, la digossina, che viene usata per il trattamento dell’insufficienza cardiaca: un grande studio epidemiologico ha effettivamente dimostrato come questa molecola abbia un effetto protettivo dal cancro alla prostata.
Chiaramente, un approccio di questo genere è possibile solo grazie alle più recenti tecniche di sequenziamento del Dna. “Le nuove tecniche genetiche, capaci di processare un grandissimo numero di dati in un tempo molto ridotto, permettono di osservare a fondo le cellule e analizzare milioni di molecole contemporaneamente”, ha concluso il ricercatore. “La cosa bella è che la tecnologia in questo campo migliora di anno in anno, e gli strumenti diventano sempre più economici. Una strategia terapeutica che li usa potrebbe essere molto promettente”.
Laura Berardi