Il futuro per l’approccio per il trattamento per il diabete? È personalizzato. Non sono solo gli studi che riguardano il cancro a dire che si va sempre di più verso una cura che dipende non solo dal tipo di malattia ma anche da come questa attacca il paziente: una nuova ricerca italiana dimostra infatti come la gestione terapeutica dei pazienti con diabete di tipo 2 debba andare verso quello di un autocontrollo strutturato.
Lo studio Prisma che ne parla è italiano, ed è stato presentato oggi a Roma da Roche Diabetes Carein una conferenza stampa in cui erano presenti anche la senatrice
Emanuela Baio e il senatore
Ignazio Marino. Allo studio hanno partecipato l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, l’Institut d'Investigacions Biomèdiques August Pi i Sunyer (IDIBAPS) di Barcellona, il Policlinico G. Martino di Messina, l’A.O. Policlinico dell’Università di Bari, Istituto Scientifico San Raffaele di Milano e l’Università di Padova.
Si tratta del primo studio al mondo che delinea un approccio personalizzatoalla gestione terapeutica dei pazienti con diabete di tipo 2 non insulino trattati. Da una parte il paziente diventa costantemente consapevole dei propri livelli glicemici così da apportare correttamente le variazioni sullo stile di vita consigliate dal team diabetologico, dall’altro il medico attraverso la visualizzazione dell’andamento glicemico risultante dall’autocontrollo strutturato può effettuare aggiustamenti terapeutici informati.
Dai dati raccolti nella ricerca si delinea infatti che l’approccio più efficace è quello sempre più personalizzato che, grazie a un rafforzamento della collaborazione tra medici e pazienti, consente di ottimizzare la gestione della terapia anche dal punto di vista dell’impatto sul Sistema Sanitario Nazionale.
Per giungere a questa conclusione sono stati considerati 39 centri di diabetologia, 1024 pazienti diabetici e oltre 5.000 campioni di sangue. Lo studio, le cui indagini sono durate 12 mesi, era un trial multicentrico randomizzato, prospettico e in aperto. I pazienti partecipanti sono stati divisi in due gruppi: uno (501 pazienti) con automonitoraggio strutturato della glicemia SMBG (4 volte al giorno per 3 giorni alla settimana), l’altro (da 523 pazienti) con automonitoraggio non strutturato.
Per monitorare i miglioramenti nei due gruppi, si sono tenuti in considerazione i livelli dell'emoglobina glicata (HbA1c), un parametro che determina il livello di glucosio nel sangue del paziente anche a lungo termine. Tutti i pazienti arruolati per il trial, infatti, non erano trattati con insulina e presentavano valori di questo parametro tra 7 e 9 punti, quando il valore ottimale è sotto i 6,5 punti. I risultati ottenuti nell’esperimento dimostrano però che il gruppo che utilizzava l’autocontrollo strutturato ha ottenuto una riduzione dello 0,45 rispetto al valore di partenza.
Un risultato molto incoraggiante,soprattutto per le preoccupazioni sulla salute pubblica che le patologie metaboliche destano. “L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera il diabete di tipo 2 a tutti gli effetti la pandemia del terzo millennio con una proiezione per il 2030 di 450 milioni di pazienti mentre in Italia si contano circa 2,5 milioni di diabetici, senza tener conto del milione di italiani ancora ‘non consapevole’ della patologia”, ha spiegato
Raffaele Marino, Medical Affairs Manager di Roche Diabetes Care. “Considerando questo scenario è dunque fondamentale continuare a investire sulla ricerca con l’obiettivo di individuare nuovi scenari terapeutici che garantiscano ai pazienti un approccio alla terapia per una migliore qualità della vita e un conseguente abbattimento dei costi del diabete, che oggi in Italia sono di circa 8 miliardi di euro, pari al 5,61% della spesa sanitaria e allo 0,29% del PIL”.