La sclerosi sistemica progressiva è una patologia poco nota e poco trattata a livello clinico. Comporta, in una prima fase, dei disturbi della microcircolazione e può evolvere in fibrosi dei tessuti. Il processo coinvolge la cute, ma può intaccare con il tempo anche gli organi interni. Per determinare l’incidenza della patologia sul territorio italiano, la Lega Italiana Sclerosi Sistemica ha finanziato un’indagine sulla sclerosi sistemica progressiva in Italia. Lo studio è stato condotto dal Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza “Giovanni Anania” dell’Università della Calabria.
I ricercatori hanno analizzato i dati, su base regionale, tra il 2010 e il 2016, e hanno determinato la prevalenza, l’incidenza della patologia e i costi sanitari di gestione delle persone affette. La prevalenza della patologia, in base all’indagine, variava nel 2010 dal 15,87 per 1.000.000 di abitanti in Umbria ai 336,5 per1.000.000 di abitanti in Emilia Romagna, e nel 2016 dal 13,48 per 1.000.000 di abitanti in Umbria al 495,02 per 1.000.000 di abitanti della Lombardia.
Gli autori osservano che, nel corso degli anni presi in esame, la prevalenza tende a diminuire nelle regioni del Sud Italia e ad aumentare nelle regioni del Nord. Dall’analisi dei dati dei pazienti dimessi dalle strutture di ricovero con diagnosi di sclerosi sistemica emerge che questa è una patologia prevalentemente femminile: le donne rappresentano il 70-100% (il dato varia a seconda delle regioni) dei ricoveri.
Gli autori hanno sottolineato la difficoltà che hanno riscontrato nel raccogliere i dati e le disparità a livello regionale. Il riconoscimento della sclerosi sistemica come Malattia Rara al codice RM0120 per tutte le regioni è solamente del 2017, anno successivo al periodo preso in considerazione per lo studio. Tale riconoscimento “determina una maggiore attenzione anche ad aspetti della malattia quali il monitoraggio e la raccolta dei dati ad essa relativi”, come precisano gli autori.
Sarà quindi importante “calcolare l’andamento delle nuove diagnosi negli anni, il tasso di mortalità e la concentrazione territoriale su base nazionale”. Infatti, concludono gli autori: “i dati emergenti potrebbero aprire nuovi orizzonti di ricerca circa l’eziologia e renderebbero la giusta dignità” a una patologia “per la quale i servizi clinico-terapeutici e assistenziali si dimostrano insufficienti ad affrontare una nuova emergenza”.
Camilla De Fazio