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QS Edizioni - mercoledì 27 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Ernia. Presentati a Tor Vergata i dispositivi che cambieranno la pratica chirurgica

immagine 29 febbraio - Annullano il dolore cronico e permettono di ridurre i tempi di operazione e stimolano la rigenerazione dei tessuti. Parte la sperimentazione guidata dal professor Petrella, che fanno del Policlinico Tor Vergata di Roma un centro di riferimento internazionale  per la cura dell’ernia.
Spesso l'unica cura possibile per l'ernia inguinale ed addominale è l'intervento chirurgico con applicazione di protesi contenitive, di routine nella pratica clinica quotidiana. Questo tipo di operazione, oltre che spesso particolarmente scomoda per i medici, prevede l'applicazione di elementi statici come reti contenitive per l'addome o protesi fisse per l'inguine, che non assecondano i movimenti dei muscoli corporei e spesso provocano ai pazienti fastidi che possono portare a dolori cronici, dunque permanenti. Da oggi è però disponibile una nuova metodica chirurgica volta proprio a eliminare tutti questi problemi, che si basa sull'uso di protesi dinamiche che stimolano la rigenerazione dei tessuti e dunque che eliminano il dolore cronico e riducono le complicanze.I due nuovi dispositivi, creati per la cura di ernie inguinali e addominali, sono stati presentati oggi presso la Facoltà di Medicina del Policlinico Tor Vergata di Roma.
 
“È stato concluso l'accordo che permetterà la sperimentazione e l'applicazione della metodica nel nostro ospedale”, ha anche annunciato Giuseppe Petrella, presidente del convegno e a capo dell'équipe di medici della capitale che hanno lavorato al perfezionamento di questa tecnica. “Saranno dunque ben 120 le operazioni che effettueremo in un anno. La lista di richieste è già a 80-90 pazienti e il progetto sta partendo proprio in questi giorni”. Il medico ha anche annunciato che nel Policlinico – diventato centro di riferimento internazionale per l’uso della nuova tecnica – avranno luogo tre sessioni di training per i medici interessati ad apprendere la tecnica, di cui la prima avrà luogo già il 7-8-9 marzo, mentre le successive ad aprile e maggio.
 
L'ernia inguinale è una patologia che colpisce il 5% di tutta la popolazione in Italia: è di gran lunga la più frequente tra questo tipo di malattie, visto che rappresenta il 75% di tutte le ernie curate sul nostro territorio. La patologia ha un'alta prevalenza maschile (ne soffre il 12% degli uomini italiani) e presenta un rapporto di pazienti di questo sesso rispetto alle donne di 8 a 1.
In Italia vengono eseguiti circa 120.000 interventi di ernioplastica ogni anno, la recidiva è bassa, ma a seguito dell'intervento è frequente la comparsa di dolore cronico, che si pensa sia attribuibile alla rigidità delle protesi che vengono applicate, che male si adattano alla mobilità propria della zona. “L'obiettivo, per una malattia come questa non è dunque abbattere il numero di casi in cui a distanza di anni si ripresenta la patologia, poiché quello è già piuttosto basso”, ha spiegatoDario Venditti, medico del Policlinico Tor Vergata che fa parte dell'équipe che ha lavorato alla nuova possibilità terapeutica. “Lo scopo semmai è quello di ridurre l'incidenza con la quale si presenta il dolore port-operatorio, che per quello che abbiamo visto in media è del 28,7%, con un 11% di casi in cui questo diventa invalidante nella vita quotidiana e nel 7% dei casi persiste anche a 7 anni di distanza dall'intervento”.
 
Il nuovo dispositivo avrebbe proprio le caratteristiche capaci di risolvere questo tipo di problemi. Esso è costituito dallo stesso materiale delle protesi statiche, il polipropilene, ma essendo flessibile risulta più dinamica e dunque in grado di adattarsi perfettamente ai movimenti muscolari. La protesi viene inserita – inizialmente compressa – nell'orifizio erniario tramite un apposito introduttore: qui viene rilasciata e si espande automaticamente, adattandosi al corpo del paziente e ancorandosi autonomamente e in maniera stabile. “Sembra l'uovo di Colombo: l'intuizione è quella di creare una protesi 'gentile' ed intelligente, capace di assecondare i movimenti in modo da eliminare del tutto sia il dolore che la recidiva”, ha spiegato ancora Petrella. “Il dispositivo è progettato per essere stabile e resistente alla tensione, ma comunque morbido. Tutte queste caratteristiche permettono anche che stimoli la rigenerazione tissutale, annullando il dolore”. Il dispositivo infatti si fonde perfettamente col corpo, e stimola non solo la rinascita dei tessuti, ma anche angiogenesi e nascita di nuove terminazioni nervose.
In più, spiegano gli esperti, con il dispositivo si riducono i tempi di intervento, che avendo una durata di appena venti minuti in media e non prevedendo suture, può essere effettuato in day surgery.
 
Stessa filosofia si trova anche alla base del dispositivo flessibile studiato per l'ernia addominale: ridurre la durata dell'intervento, ottimizzare degli interventi, ridurre il dolore per il paziente.
In questo caso, oltre ai problemi già esposti, anche quello della recidiva si fa più, pesante perché le protesi fisse tendono a ridurre la propria superficie addirittura del 30% una volta inserite. Per evitare l'inconveniente bisogna dunque usare delle protesi che hanno dimensioni molto grandi e spesso l'intervento è eseguito in condizioni molto scomode per chi opera.
Il nuovo dispositivo presentato nell'incontro è invece dotato di alcuni tentacoli, che posizionati nell'addome grazie ad un semplice ago, mantengono in tensione la protesi, che si adatta perfettamente al corpo del paziente. In questo modo, si riduce anche la grandezza dell'incisione, e dunque il trauma chirurgico. “Inoltre il posizionamento della protesi dura dai 5 agli otto minuti”, ha spiegatoGiuseppe Amato, docente dell'Università di Palermo che ha collaborato col team romano. “Per lo stesso tipo di procedura, ma con altri dispositivi, il solo inserimento necessitava in precedenza addirittura di venti minuti”.
 
Entrambi i nuovi dispositivi servono dunque sia ai pazienti, che diminuiscono dolore e possibilità di sviluppo di recidive, che ai medici, che possono effettuare interventi più brevi e in condizioni migliori.
 
Laura Berardi
29 febbraio 2012
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