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QS Edizioni - lunedì 25 novembre 2024

Scienza e Farmaci

ESC/1. La nuova vita del dapagliflozin: da terapia anti-diabete a straordinario farmaco anti-scompenso

di Maria Rita Montebelli
immagine 2 settembre - Da anni, gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio 2 (SGLT2) ci hanno abituato a grandi performance nei soggetti con diabete affetti da scompenso cardiaco. Nessuno aveva però finora dimostrato un beneficio di questi farmaci anche sui pazienti con scompenso a ridotta frazione d’eiezione, non diabetici. A questo ha provveduto lo studio DAPA-HF, una pietra miliare nella storia di dapagliflozin che, sdoganato dall’ambito esclusivo del diabete, si propone adesso come un eccezionale strumento terapeutico anti-scompenso nelle mani dei cardiologi. I risultati della ricerca, presentata a Parigi al congresso ESC/WCC, sono stati accolti da applausi a scena aperta, come si conviene ad un vero breakthrough.
Il dapagliflozin riduce del 26% mortalità e ricoveri nei pazienti con scompenso cardiaco a ridotta frazione d’eiezione, in presenza o meno di diabete. Questo in sintesi, il messaggio scaturito dallo studio DAPA-HF presentato a Parigi in occasione del congresso della società europea di cardiologia (ESC) e del mondiale di cardiologia (WCC).

Lo studio doveva essere presentato a novembre al congresso dell’American Heart Association, “ma quando ho cominciato a vedere i risultati definitivi qualche settimana fa – confessa il primo autore, John McMurray dell’Università di Glasgow (nela foto), che ha firmato anche il PARADIGM-HF, il trial che ha dimostrato gli effetti anti-scompenso del sacubitril-valsartan – ho capito che non sarebbe stato etico aspettare altri tre mesi. Lo dovevo a quelle migliaia di pazienti che nel frattempo sarebbero morti di scompenso cardiaco, era un’importante questione di salute pubblica. E così ho chiesto all’ESC di poter presentare questi dati qui a Parigi”. Emozionato fino alle lacrime alla sua presentazione di fronte alla platea di cardiologi di tutto il mondo (sono oltre 32 mila quelli presenti al congresso dell’ESC/WCC), i suoi risultati sono stati accolti da applausi a scena aperta. Come si conviene ad uno straordinario passo avanti della medicina.
 
Il dapagliflozin è un farmaco anti-diabete, un inibitore di SGLT2 (cotrasportatore sodio-glucosio 2), classe sulla quale da anni si sta appuntando l’attenzione dei cardiologi per le straordinarie performance anti-scompenso. Ma questo studio ha dimostrato che il farmaco funziona anche nei pazienti scompensati, che diabetici non sono. Dapagliflozin insomma esce da questo congresso ‘affrancato’ dall’ambito squisitamente diabetologico, per acquisire lo status di un farmaco anti-scompenso, in un’area della terapia cardiologica decisamente poco popolata di novità negli ultimi anni, con la sola eccezione del sacubitril-valsartan.
 
Lo studio DAPA-HF insomma è andato oltre il diabete. “Abbiamo voluto valutare – spiega McMurray - se il farmaco potesse dare dei vantaggi nelle persone già affette da scompenso cardiaco, diabetiche e non”.

Per farlo, sono stati arruolati 4.744 pazienti con scompenso cardiaco a ridotta frazione d’eiezione in 20 Paesi, randomizzandoli a dapagliflozin 10 mg al giorno o a placebo, in aggiunta al trattamento usuale (il 94% era in terapia con un ACE-inibitore o con un sartano o con l’associazione sartano-inibitore della neprilisina; il 96% era in trattamento con un beta-bloccante, il 71% con un antagonista dei recettori dei mineralcorticoidi).

L’endpoint primario dello studio era un composito di un primo episodio di peggioramento dello scompenso cardiaco (tale da determinare un ricovero o una visita urgente per la somministrazione di terapia endovenosa) o morte per cause cardiovascolari.

Dopo un follow-up medio di 18,2 mesi, l’endpoint primario si era verificato nel 16,3% dei pazienti trattati con dapagliflozin, contro il 21,2% del gruppo di controllo, con una riduzione del 26% tra i due gruppi.  Il number needed to treat (NNT) è 21.
 
Andando ad analizzare separatamente le due componenti dell’endpoint primario, il dapagliflozin ha ridotto del 30% l’evenienza di un episodio di peggioramento dello scompenso cardiaco e del 18% la mortalità cardiovascolare.

Sul fronte degli effetti indesiderati, il 7,5% dei soggetti trattati con dapagliflozin ha presentato un evento avverso correlato a deplezione di volume contro il 6,8% del gruppo di controllo (differenza non statisticamente significativa). Il 6,5% dei gruppo dapa contro il 7,2% del gruppo di controllo ha presentato un episodio di insufficienza renale. Gravi crisi ipoglicemiche, amputazione degli arti inferiori e fratture sono risultati evenienze rare in entrambi i gruppi. Insomma, nel gruppo trattato con dapagliflozin non sono stati registrati eventi indesiderati in eccesso rispetto al gruppo placebo.
 
Perché dapagliflozin fa la differenza nello scompenso
Ma allora, come va considerato dapagliflozin, un farmaco anti-scompenso o anti-diabete? “La risposta è nei risultati – commenta McMurray – La riduzione dell’endpoint primario è stata del 25% nei pazienti con diabete e del 22% in quelli senza diabete”. Il farmaco insomma riduce riacutizzazioni di scompenso (tali da richiedere un ricovero o un trattamento endovenoso urgente) e la mortalità cardiovascolare, a prescindere che il paziente sia diabetico o meno.  
 
Nell’ultima decade solo quattro trial hanno prodotto risultati positivi nello scompenso cardiaco: lo SHIFT (ivradradina), l’EMPHASIS-HF (eplerenone), PARADIGM-HF (sacubitril-valsartan) e il DAPA-HF (dapagliflozin).

“Il dapagliflozin – commenta McMurray - dà benefici ulteriori anche quanto aggiunto alla migliore terapia anti-scompenso esistente, compreso il sacubitril-valsartan. E’ un trattamento anti-scompenso di successo, che non agisce attraverso dei meccanismi neuro-umorali.  E incarna tutto ciò che si può chiedere ad un farmaco anti-scompenso: riduce i ricoveri per scompenso, aumenta la sopravvivenza, migliora i sintomi. Centra cioè tutti e tre gli obiettivi del trattamento. Siamo di fronte ad uno straordinario passo avanti per i pazienti affetti da questa terribile patologia “
 
“Il DAPA-HF – conclude McMurray – ha dimostrato che dapagliflozin riduce la mortalità e i ricoveri e migliora la qualità di vita (valutata con il questionario Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire, KCCQ) correlata alla salute nei pazienti con scompenso cardiaco e ridotta frazione d’eiezione, in presenza o meno di diabete. Le implicazioni cliniche di questi risultati sono enormi; sono pochi i farmaci che hanno raggiunto questi risultati nello scompenso cardiaco e il dapagliflozin fa la differenza anche quando aggiunto ad una terapia standard ottimale”.
 
“Di scompenso cardiaco soffrono 900 mila persone in Italia (praticamente una città come Torino), il 70% dei quali hanno le caratteristiche dei pazienti DAPA-HF (NYHA II)”. A parlare è il professore Michele Senni, direttore Dipartimento Cardiovascolare dell’Unità Complessa di Cardiologia 1, ASST ‘Giovanni XXIII’, Bergamo, nonché uno dei maggiori esperti internazionale sull’argomento.  “E’ dunque una patologia molto rappresentata nei numeri ma poco percepita nella sua gravità dai pazienti. I soggetti con scompenso in classe NYHA II hanno una mortalità ad un anno del 10%, che sale al 30% dopo un episodio di ricovero per scompenso. Ciò significa che lo scompenso, che rappresenta la prima causa di ricovero in Italia (dopo il parto), ha una prognosi peggiore a quella della maggior parte dei tumori, con la sola eccezione di quello del polmone e del pancreas”.
 
I risultati dello studio DAPA-HF aprono una nuova era nella terapia dello scompenso cardiaco, aggiungendo un’altra importantissima freccia alla faretra terapeutica. I benefici dell’aggiunta di dapagliflozin alla terapia abituale dello scompenso (e i pazienti DAPA-HF erano trattati in maniera ottimale) cominciano a comparire già dopo poche settimane e le curve con il gruppo di controllo continuano ad allargarsi nel corso dei mesi seguenti. “Il farmaco – conclude Senni - è inoltre estremamente sicuro e ben tollerato; a differenza di altri validi farmaci anti-scompenso, come i beta-bloccanti, non solo non peggiora la qualità di vita dei pazienti, ma anzi la migliora, come dimostrato dal questionario Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire. Un punto questo a tutto vantaggio della compliance.”
 
La domanda alla quale gli esperti non sanno ancora dare una risposta è attraverso quali meccanismi dapagliflozin eserciti i sui effetti benefici sullo scompenso cardiaco. “Per ora - confessa McMurray – siamo nel campo delle speculazioni. Di certo c’è un effetto sulla ritenzione idrica, pensiamo però che il farmaco agisca anche sul metabolismo energetico cardiaco; c’è infine chi invoca un effetto anche sullo scambiatore sodio/idrogeno che potrebbe avere un effetto protettivo contro il rischio di aritmie e di morte improvvisa”. Per rispondere a questo fondamentale quesito è in corso il programma di studi DAPA-MECH (DEFINE-HF, PRESERVED-HF, DAPASALT, DAPAMAAST, DAPACARD, DIAMOND), mirato allo studio meccanicistico degli effetti di dapagliflozin.
Dapagliflozin è già autorizzato in Italia per i pazienti con diabete. Astra Zeneca, l’azienda produttrice, ha annunciato che presenterà a breve l’applicazione per la nuova indicazione (scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta) sia all’EMA che all’FDA.

 
Maria Rita Montebelli
2 settembre 2019
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