Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Chimica e Biologia Chimica della McMaster University (Canada) annuncia dalle pagine della rivista
Metabolomics di aver individuato nuovi biomarcatori urinari per la diagnosi di sindrome dell’intestino irritabile (IBS), una condizione che riguarda una fetta consistente della popolazione generale (in Italia oltre 3 milioni di persone) e che può manifestarsi con gradi diversi di gravità. Questi nuovi strumenti diagnostici potrebbero portare ad un progresso nel trattamento di questa condizione e a ridurre la necessità di sottoporre i pazienti a colonscopie ripetute, attualmente utilizzate per la diagnosi.
Mai Yamamotoe colleghi hanno individuato una decina di metaboliti urinari che risultano aumentati nei pazienti con IBS e che sono associati ad un’aumentata degradazione del collagene e ai processi di turn-over della mucosa intestinale, realisticamente dovuti ad una infiammazione di basso grado. Tra i metaboliti urinari correlabili ad una condizione di IBS vi sono quelli dell’idrossilisina (O-glicosilgalactosil-idrossilisina, O-galattosil-idrossilisina, lisina), il mannopiranosi-L-triptofano, l’imidazolo propionato, la glutamina, la serina, l’ornitina, la dimetilglicina e la dimetilguanosina.
“Questa ricerca – affermano gli autori – fornisce nuove spiegazioni meccanicistiche sulla patogenesi dell’IBS e offre un modo conveniente di monitorare la progressione di malattia del paziente e la risposta alla terapia, basandosi su un pannello di metaboliti urinari, che potrebbe risparmiare di ricorrere a prelievi di sangue, alla colonscopia e alle biopsie tessutali”.
La IBS è una patologia cronica, elusiva e a eziologia sconosciuta che interessa nel nostro Paese, con gradi diversi di gravità, tra il 5 e il 10 percento della popolazione, con una netta prevalenza tra le donne (in rapporto 3:1 con gli uomini).
Maria Rita Montebelli