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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Scienza e Farmaci

“La ricerca richiede convergenza, condivisione, collaborazione, cordate. Il sovranismo è la forza contraria, spinge a chiudersi. È la tomba della ricerca”. Intervista alla virologa Ilaria Capua

di Lucia Conti
immagine 6 luglio - È in libreria “Salute circolare. Una rivoluzione necessaria”, l'ultimo libro della virologa italiana oggi residente negli Usa dove ha deciso di trasferirsi dopo l'assurda vicenda giudiziaria in cui venne coinvolta mentre era parlamentare in Italia. In questa intervista esclusiva ci spiega come la salute sia una questione collettiva, da affrontare guardando non solo all'uomo ma all'intero ecosistema. I big data sono lo strumento fondamentale, mentre il sovranismo va nella direzione diametralmente opposta. E sulla fuga di cervelli dice: “Si parli piuttosto di circolazione dei cervelli, che è una bellissima opportunità per i giovani. Ma anche l’Italia deve essere attrattiva per i talenti stranieri”
Oggi è direttore dell’One Health Center of Excellence e Pre-eminent Full professor all’Università della Florida. Ma la storia di Ilaria Capua inizia in Italia. Ed è una storia tutta da raccontare. Diventata famosa nel 2006 quando decide di sfidare il sistema rendendo di dominio pubblico la sequenza genetica del primo ceppo africano di influenza aviaria H5N1.
 
Nel 2013 si candida con Scelta Civica per portare il suo contributo alla ricerca anche attraverso la politica. Eletta alla Camera, si dimette nel 2016 (leggi la lettera di dimissioni) dopo essere stata travolta da una indagine giudiziaria che la vede accusata di essere parte di un complotto per la diffusione dei virus allo scopo di realizzare guadagni illeciti dalla produzione di vaccini. 

Le accuse sono completamente infondate, tanto che Capua viene prosciolta da tutti i capi di accusa nel luglio 2016. Ma la vicenda ormai ha segnato la sua vita e lei, ricevuta l’offerta di guidare un centro di eccellenza in Florida, decide di lasciare l’Italia.

Negli States Ilaria Capua ha ripreso in mano la sua vita. Fa ciò che più le piace e meglio gli riesce, la scienziata. Ma scrive anche dei libri. L’ultimo si intitola “Salute circolare. Una rivoluzione necessaria” (Egea 2019; 128 pagg.; 15 euro), una riflessione su un nuovo modo di concepire la salute. 

La sua idea è quella di una visione di insieme, nella quale la vita dell’uomo sia in equilibrio con quella del resto del pianeta. Solo salvaguardando l'ecosistema, l'uomo protegge se stesso. Come spiega in questa intervista, in cui abbiamo parlato, tra le altre cose, di politica, ricerca e fuga di cervelli.
 
Professoressa Capua, con “La Salute Circolare” lei invita a riflettere su un modo nuovo di intendere la salute. Nel libro questa riflessione è preceduta da un excursus sulla storia della medicina. Un quadro tratteggiato attraverso aneddoti che vanno dai greci e al Medioevo, passando per Rinascimento fino all’era moderna. Racconta di come uomini come Ippocrate, Andrea Vesalio, John Snow, Joseph Lister e tanti altri abbiano compiuto scoperte rivoluzionarie, a volte quasi per caso. Come mai ha percepito questo bisogno di riscoprire il passato per guardare al futuro?
Ho voluto ricordare al lettore che la linfa vitale della ricerca e del progresso è la curiosità. Gli scienziati citati disponevano di pochissimi strumenti, alcuni di essi non erano neanche scienziati. Ma tutti avevano una sconfinata voglia di andare oltre ciò che già si conosceva. Di capire cosa potesse esserci dietro una intuizione. Ripercorrere le storia della medicina è importante per ricordare che l’essenza della ricerca biomedica è superare se stessa, scoprire sempre qualcosa di nuovo.

Spesso non si tratta di cancellare il passato, ma di perfezionarlo. Di aggiungere tasselli, scoprendo che la salute è qualcosa di più di quanto abbiamo pensato fino a quel giorno. Basti pensare come si sia passati a intendere la salute come integrità del corpo a un concetto più vasto di benessere psico-fisico. Ecco, ora è arrivato il momento di guardare ancora oltre, senza per questo dimenticare gli importantissimi risultati scientifici raggiunti.

La scelta di un linguaggio semplice è stata compiuta perché questo libro è rivolto a tutti: uomini, donne, ragazzi, madri, padri, nonni, manager, insegnanti, pensionati… Questo perché il nuovo concetto di salute su cui invito a riflettere va costruito insieme. La salute non è qualcosa che riguarda solo gli scienziati. Tutti possiamo e dobbiamo contribuire a creare un mondo più sano e alla salute del prossimo.
 
Per molto tempo il mondo della scienza è stato visto come un sistema elitario. Il medico era colui che sapeva e decideva, il paziente si fidava e obbediva. Questo modo di rapportarsi non funziona più, il cittadino vuole sempre autodeterminarsi. Ma non sempre ha le conoscenze per farlo, come dimostrano alcune posizioni antiscientifiche, per esempio quelle no vax. Avvicinare i cittadini alla scienza può essere utile anche per ricreare un rapporto di fiducia degli uomini nella scienza?
Sicuramente sì ed è un po’ quello che cerco di fare, pur non avendo puntato su un argomento specifico. Alla base del concetto di “Salute circolare” c’è la relazione tra le persone, quella fiducia reciproca che nasce dalla consapevolezza che stiamo tutti collaborando per il medesimo obiettivo, che è la salute, il bene più prezioso. Una salute che riguarda il singolo, ma anche la collettività. Riguarda l’uomo, ma anche l’intero ecosistema che lo circonda. Noi virologi ci stiamo sempre più rendendo conto di come le malattie che colpiscono l’uomo siano interconnesse ad altri fenomeni. I movimenti ambientalisti hanno sicuramente dato un forte contributo alla sensibilizzazione su certi temi, ma non basta. Va costruita una coscienza collettiva.

Non si tratta, per intenderci, di difendere quella specie di pianta o di animale perché siamo buoni. Lo dobbiamo fare anche per la nostra sopravvivenza. Tutto ciò che è nel mondo è connesso e sopravvive grazie a un certo equilibrio. Se quell’equilibrio si spezza, alla lunga le specie si estinguono. E noi uomini non saremo esenti da questo destino se continuiamo a distruggere le risorse che il pianeta può offrirci.

Per fortuna, però, oggi siamo in grado di misurare e di capire ciò che accade intorno a noi. I big data ci forniscono lo strumento per analizzarlo e trovare le migliori soluzioni.

Sull’utilizzo dei big data ci sono anche polemiche e non poche perplessità…
Dipende anche dal motivo per cui vengono utilizzati. Un conto è utilizzarli per influenzare le tendenze o la politica, un conto è utilizzarli per salvare le nostre vite.

I big data permettono di mettere insieme le conoscenze che arrivano dalla terra, dal mare, dall’acqua dolce, dall’aria, dagli aranceti, dagli uliveti…  Il mondo è già “big datizzato”, bisogna trovare il modo di vedere questi dati nel loro insieme e farne il migliore utilizzo.

La “Salute Circolare” è quindi multisettoriale e multidisciplinare. Raggiungerla richiederebbe un enorme sforzo organizzativo ed economico. E’ fattibile?
La “Salute circolare” un nuovo concetto di salute che possiamo definire “inclusivo”, nel senso che non abbraccia solo la salute umana ma quella dell’intero ecosistema. Per realizzarla c’è sicuramente un gran lavoro da svolgere, ma se consideriamo come i padri della scienza abbiano fatto studi e scoperte di rilevanza eccezionale con pochi, poveri strumenti tra le mani, direi che il nostro lavoro non è poi così complicato! Al di là delle battute, i dati ci sono e ci saranno sempre di più. Dobbiamo sviluppare i metodi per sintetizzarli e utilizzarli, facendo sicuramente un grande sforzo, ma è un obiettivo raggiungibile. Serve, però, la collaborazione di tutti. Siamo tutti responsabili della nostra salute.

La “Salute circolare” è compatibile con un sistema sanitario universale come quello italiano?
La prima cosa che voglio evidenziare è come il sistema sanitario italiano si trovi già a un livello molto avanzato se si considera che è uno dei pochissimi esempi al mondo in cui la salute veterinaria rientra nelle competenze del ministero della Salute, anziché dell’Agricoltura.

Se poi mi chiede se sia possibile garantire gratuitamente a tutti un’assistenza sanitaria in ogni ambito, questo è da verificare. Sicuramente la Salute circolare, proprio perché punta sulla partecipazione attiva e sulla responsabilizzazione di ogni individuo, consente dei risparmi che possono essere reinvestiti in innovazione e servizi per tutti. Più ci si prende cura di se stessi e del mondo, infatti, meno ci si ammala. Meno ci si ammala, più si risparmia. Meno personale malate ci sono, più si liberano risorse da investire su chi sta male.

È difficile comprendere quale sarà il destino del Ssn. Sicuramente, però, un sistema universale come quello italiano è una ricchezza incredibile per un Paese, e ne sono sempre più convinta ora che vivo negli Usa, dove le cose sono molto diverse.

Nel libro lei cita la frase di Ippocrate: “La democrazia produce cittadini sani, la tirannia sudditi malati”. Cosa produce, secondo lei, il sovranismo in termini di salute?
Assisto con angoscia alle fughe laterali di certi Paesi europei e a certe forme di egoismo patologico di cui si ha notizia. Ognuno vuole tirare i remi in barca. Io non voglio entrare nello scenario politico, ma posso dire che questa operazione sta arrecando gravissimi danni alla ricerca europea, già duramente colpita dalla Brexit, che ha sconvolto gli equilibri e messo in difficoltà non solo l’Inghilterra, ma a tutta l’area di ricerca europea, perché inglesi sono sempre stati dei partner validi e trainanti.

La ricerca è fatta di convergenza, di condivisione, di collaborazioni, di cordate. Anche l’assistenza è sempre più fatta di reti di malattie. Il sovranismo è la forza contraria, spinge a chiudersi. Il sovranismo è la tomba della ricerca. Se non si ferma questa deriva, le conseguenze sulla salute saranno drammatiche.

Lei lo sa bene, essendo famosa anche per avere diffuso open source la sequenza genica del virus H5N1 dell’aviaria…
Il mio ex gruppo di ricerca all’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie è oggi il laboratorio di riferimento europeo per l’aviaria. I risultati che abbiamo ottenuto sono stati possibili anche grazie a fondi di ricerca europei e a cordate con altri centri europei. Ognuno contribuisce a fare qualcosa che, messo insieme, permette di avere risultati che impattano veramente sulla salute. È così che funziona. Le alleanze di ricerca internazionali son fondamentali, permettono di avere risorse e interlocutori di livello. I centri di eccellenza sono presenti in tantissimi paesi, mica sono solo in Italia!

Lei è una ricercatrice di fama internazionale che ha lasciato l’Italia per andare a lavorare in Florida. Pensa che il nostro sia un paese che tratta male le sue migliori menti?
La scelta di andare a lavorare negli Usa è stata unicamente determinata dalla vicenda giudiziaria che mi ha travolta nell’aprile del 2014. Dopo le accuse - rivelatesi completamente infondate - di aver fatto parte di un complotto per la diffusione di virus allo scopo di guadagnare sui vaccini, ero diventata un’anatra zoppa. Sono finita nel tritacarne della gogna mediatica e ho subito lo sdegno dell’opinione pubblica. Su di me è calata un’ombra di sospetto che non mi permetteva alcun tipo di iniziativa, scientifica e politica, perché a quei tempi ero deputata della Camera. Macchiata, quindi senza credibilità. Fino al proscioglimento, avvenuto circa 15 anni dopo fatti i mai avvenuti, tre settimane dopo il mio l’arrivo in USA.

Al di là del mio caso particolare, credo che l’Italia debba fare molto di più per la ricerca e per i suoi ricercatori. Ma sono anche convinta che si debba smettere di parlare di “cervelli in fuga” e iniziare a parlare di “circolazione di talenti”. Se è vero che l’Italia forma talenti ben superiori a quelli di altri paesi, questi talenti devono aprire le loro menti e andare a mettere in pratica quel che hanno imparato nei centri più eccellenti, che spesso si trovano fuori dall’Italia.

La circolazione di cervelli non è una tragedia. Al contrario, è qualcosa di importantissimo ed è una bellissima opportunità per i nostri giovani. Non dobbiamo preoccuparci per la “fuga” dei cervelli italiani. Ma dobbiamo preoccuparci della scarsa capacità dell’Italia di attrarre a sua volta le migliori menti del mondo. Questo è il ragionamento da fare, questo è ciò che può arricchirci tutti.

In “Salute Circolare”, è chiarissimo come la scienza si sia espansa grazie alla mobilità dei ricercatori, che ai tempi di Vesalio e Copernico si muovevano a cavallo in mezzo ai banditi e non di certo in aereo e con il trolley.
 

Lucia Conti
6 luglio 2019
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