È la leucemia più diffusa e ogni anno colpisce in Italia circa 2.500 persone, soprattutto over 60. Ha un tasso di sopravvivenza molto basso e ne esistono diversi sottotipi. La leucemia mieloide acuta secondaria (Lma) è un tumore aggressivo causato dalla moltiplicazione incontrollata di una delle cellule immature presenti nel midollo osseo. Ha un’incidenza di circa 4,2 persone ogni 100.000 abitanti e per questo è considerata una malattia rara (che per definizione colpisce fino a 5 pazienti ogni 10.000 abitanti).
Più che in altre malattie, è fondamentale una diagnosi accurata per individuare le opzioni di trattamento più adeguate. Proprio di questi temi si è discusso venerdì 27 giugno a Milano, all’interno del convegno “Leucemia mieloide acuta: nuove prospettive terapeutiche”, promosso da Jazz Pharmaceuticals e con il patrocinio della Regione Lombardia.
Negli ultimi due anni molti passi avanti
“Fino a due anni fa i trattamenti a nostra disposizione non erano molti – ha ricordato
Roberto Cairoli, direttore Sc Ematologia all’Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano – Oggi, grazie alla caratterizzazione biologica della Lam, i nostri pazienti hanno a disposizione una serie di molecole che possono migliorare la loro storia clinica e la qualità della loro vita”. E Giuseppe Rossi, direttore della Struttura complessa di Ematologia e del Dipartimento di Oncologia Clinica all’Asst Spedali Civili di Brescia, ha aggiunto: “Negli ultimi 24 mesi negli Stati Uniti sono stati approvati 10 farmaci per questa patologia. Adesso abbiamo bisogno di una diagnostica molecolare estremamente fine per prescrivere le molecole più appropriate al sottotipo di patologia del paziente”.
Siccome la maggior parte di chi ha la leucemia mieloide acuta ha oltre 60 anni, è difficile il trapianto allogenico, che rappresenta la vera possibilità di guarigione evitando la recidiva di malattia. Per questo le speranze oggi si orientano alla terapia farmacologica, sempre più cucita su misura.
Paolo Corradini, presidente della Società Italiana Ematologia, ha ricordato gli ambiti di ricerca più interessanti, quelli che “esploderanno” nei prossimi anni: “In primis quelli che forniranno gli strumenti per scoprire le lesioni genetiche precise di una malattia – ha ricordato Corradini, che è anche direttore della Sc di Ematologia presso la Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano– Questo consentirà di somministrare trattamenti specifici. Poi vi è la branca dell’immunoterapia, con gli anticorpi bispecifici e le car-T cells, un modo per colpire la malattia molto diverso dalla chemioterapia o dal trapianto di midollo, che sono le terapie che abbiamo avuto a disposizione in questi anni. Infine, con la Crispr technology (una sorta di taglia-e-cuci molecolare, ndr) la terapia genica sta di fatto diventando realtà. Culturalmente tutto questo avrà impatti organizzativi sugli aspetti sanitari – ha ricordato lo specialista – La politica si sta interessando a questi impatti? Forse si potrebbe fare di più per capire come dovrebbe cambiare l’organizzazione di alcuni ospedali. Il costo della terapia non è tutto”.
Garantire l’accessibilità all’innovazione
Il 18 giugno Aifa ha inserito la combinazione di daunorubicina e citarabina nel fondo per i farmaci innovativi.
Giovanni Martinelli, direttore scientifico dell’Ircss Istituto Tumori della Romagna, ha affermato: «Finalmente abbiamo a disposizione una medicina ce agisce sul meccanismo del cariotipo complesso, cioè le multiple alterazioni complesse con cui si manifesta la Lma. Queste molecole riesce a penetrare in modo selettivo all’interno delle cellule del midollo, là dove è avvenuto lo sbaglio e le inibisce portando a morte prevalentemente quelle tumorali. Questa è una bella notizia, soprattutto per le persone fragili e anziane».
«Oggi ci sono dei farmaci innovativi, quelli biotecnologici per esempio, che soprattutto in oncologia hanno un’attività mirata su alcune proteine mirate – ha ricordato
Giorgio Racagni, presidente eletto della Società Italiana di Farmacologia – Questo permette la personalizzazione della terapia e la precisione farmacologica. L’importante è che oltre a introdurre i farmaci, questi siano poi disponibili e accessibili ai pazienti. Oggi a volte si registra una disomogeneità nell’accesso ai farmaci a livello regionale».
Dalla parte del paziente
Al congresso milanese non si è parlato solo di farmaci, ma anche dei bisogni del paziente ematologico, al di là della terapia. “Come AIL da 50 anni aiutiamo i pazienti a soddisfare i loro bisogni materiali. Per esempio, le 36 case AIL presenti sul territorio nazionale forniscono alloggio gratuito a pazienti e familiari costretti a cambiare città per avere l’accesso alle terapie – ha affermato durante il suo intervento
Felice Bombaci, volontario dell’Associazione italiana contro leucemie-linfomi e mieloma Onlus e coordinatore nazionale Gruppi AIL Pazienti Malattie Ematologiche – Dal 2009, poi, facciamo anche attività di advocacy, per permettere a chi ha avuto una leucemia di tornare alla vita senza subire lo stigma da parte della società”. Oggi in Italia, infatti, manca una legge che tuteli il diritto all’oblio in ambito sanitario: “Oggi, se un bambino viene curato da una leucemia, quando a 20 anni si affaccia al mondo del lavoro rischia di trovarsi di fronte a un blocco, perché è stato un paziente ematologico, nonostante sia guarito. In Francia, dopo 10 anni dalla guarigione, la persona torna ad avere gli stessi diritti di chiunque altro. Come AIL puntiamo a renderlo possibile anche in Italia”.
Sono poi state affrontate le reti ematologiche, che rappresentano un esempio di eccellente gestione del paziente ematologico che ha bisogno di punti di riferimento per affrontare l’intero percorso di cura. In alcune Regioni italiane, come Lombardia, Veneto Emilia Romagna e Puglia, sono già presenti reti in grado di intercettare, in una visione olistica, tutti i bisogni di cura del percorso diagnostico terapeutico e assistenziale (PDTA) del paziente emato-oncologico. “Da qualche anno lavoriamo con le reti di patologia costruendo un modello che coinvolge i migliori professionisti – ha ricordato l’assessore regionale al Welfare
Giulio Gallera – Adesso vogliamo fare un passo in più, passando dalle reti di patologia alle reti clinico-assistenziali, nella logica che al di là della valutazione clinica della patologia vi è la fase di diagnosi precoce, con il coinvolgimento dei Mmg e poi il decorso post-operatorio o post-ospedaliero e qui è fondamentale il ruolo ella strutture territoriali. Vogliamo migliorare la qualità della presa in carico del paziente migliorando anche le risorse da destinare”.
Il consigliere regionale e membro della Commissione Sanità
Marco Mariani ha ricordato che “in Lombardia abbiamo una rete ematologica d’eccellenza, ma per poter evolvere ancora abbiamo bisogno di grandi investimenti in ricerca. Da questo di vista siamo purtroppo carenti: una politica sanitaria a livello nazionale dovrebbe investire il più possibile in ricerca, che rappresenta il futuro per qualsiasi specializzazione al giorno d’oggi”.
Michela Perrone