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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Hiv. All’attacco della riserva di virus “latente”. Ulteriori speranze da uno studio Italia-Usa

immagine 8 marzo - Lo studio evidenzia che i virus capaci di replicare e di produrre proteine, decadono più rapidamente a causa della pressione immunologica selettiva, con conseguente riduzione del reservoir virale. Ovvero che la lenta e graduale riduzione di tale serbatoio virale potrebbe essere legata alla produzione di proteine virali, un fenomeno maggiormente evidente se il genoma virale integrato nelle cellule umane è integro, intatto, privo di mutazioni.
“Il principale ostacolo all’eradicazione del virus HIV potrebbe non essere l’invisibilità del suo reservoir (serbatoio), poiché sembrerebbe che lo stesso sia meno resistente alla riattivazione di quanto si pensi in generale. Inoltre, dallo studio longitudinale del virus integrato emergono importanti informazioni sulle popolazioni virali 'intatte' (in tal caso il genoma virale integrato nelle cellule umane è intatto, ovvero privo di mutazioni) in grado di produrre virus infettanti e popolazioni virali difettive (in tal caso il genoma virale integrato nelle cellule umane non è intatto, presenta mutazioni e quindi è difettoso) le quali generano virus non infettanti”.
 
Il dato emerge da una ricerca, recentemente pubblicata, su Nature Communications, dai ricercatori dell’Università di Messina e di quella della Pennsylvania. Lo studio evidenzia che i virus intatti, capaci di replicare e di produrre proteine, decadono più rapidamente a causa della pressione immunologica selettiva (la risposta del sistema immunitario nei confronti del virus che cerca di replicare e infettare altre cellule), con conseguente riduzione del reservoir virale, ovvero che la lenta e graduale riduzione di tale serbatoio virale potrebbe essere legata alla produzione di proteine virali, fenomeno maggiormente evidente se il genoma virale integrato nelle cellule umane è integro, intatto, ovvero privo di mutazioni: non difettivo. Un esito questo che fornisce importanti implicazioni circa la cura dell’HIV.
 
La ricerca, sottolinea, complessivamente, come “dopo aver iniziato la terapia antiretrovirale (ART), un rapido declino della carica virale plasmatica dell’HIV è seguito da un lungo periodo di viremia non rilevabile, ma l’analisi quantitativa del reservoir, tuttavia, suggerisce che il serbatoio del virus continua a diminuire molto lentamente”.
 
Il “reservoir di virus latente” è quello che rimane invisibile al sistema immunitario ed è, pertanto, inattaccabile dalla terapia antiretrovirale, si riattiva periodicamente cominciando a replicarsi e ad infettare nuove cellule, ecco perché l’introduzione della ART (terapia antiretrovirale) ha condotto alla cronicità dell’infezione da HIV, ma non all’eradicazione del virus.
 
“Il nostro studio - afferma Giuseppe Nunnari tra gli autori della ricerca, professore ordinario di Malattie Infettive dell’Università di Messina e direttore dell’UOC di malattie Infettive del Policlinico G. Martino - ha svelato nuove intuizioni sulle forze che potrebbero guidare la replicazione del virus e, dunque, alcuni meccanismi utili alla cura eradicativa dell’HIV. Infatti, studiando longitudinalmente i provirus di quattro soggetti con infezione da HIV in terapia ART sono stati evidenziati alcuni meccanismi di pressione selettiva immunologica efficace nel ridurre quantitativamente il reservoir virale “qualitativamente efficiente” (virus “intatti” che se prodotti e non contrastati dalla pressione immunologica infetterebbero nuove cellule contribuendo alla formazione di nuovo reservoir).
 
“Abbiamo rilevato - evidenzia Nunnari - che l’espressione del reservoir porta alla sua clearance (cioè non solo all’azzeramento della viremia, ma anche alla selezione ed eliminazione dei cloni cellulari che albergano nell’HIV integrato nel proprio genoma e sono causa della sua persistenza). Contemporaneamente però l’espansione dei cloni che albergano in virus difettivi (che quindi esprimono meno e vengono selezionati meno) maschera il reale decadimento del reservoir in termini quantitativi”.
 
L’HIV è un retrovirus che appartiene alla famiglia dei lentivirus. Il virus dell’HIV è suddiviso in due ceppi, HIV-1 e HIV-2, di cui il primo è il tipo più diffuso nel mondo, mentre HIV-2 è diffuso in Africa occidentale. HIV ha come cellula target il linfocita T CD4+: HIV si lega alle cellule bersaglio grazie al legame col recettore CD4 presente sulla superficie dei linfociti e con i co-recettori CCR5 e/o CXCR4. Mediante un fenomeno di fusione, il virus penetra nella cellula ospite. La trascrittasi inversa (o retrotrascrittasi) è l’enzima deputato alla trasformazione dell’RNA virale in una molecola complementare di DNA e del complesso provirale. Il DNA provirale si integra nel genoma della cellula ospite grazie all’azione dell’integrasi. Dal DNA integrato hanno origine nuove molecole di RNA virale grazie allo sfruttamento dell’apparato trascrizionale della cellula ospite. Anche le proteine virali vengono sintetizzate nel citoplasma e si assemblano per originare nuove particelle virali.
 
Tre geni principali del genoma di HIV codificano le proteine precursori che danno origine alle proteine virali necessarie per la formazione di nuovi virioni e per l’infezione della cellula bersaglio, l’integrazione nel genoma dell’ospite. Ogni giorno vengono prodotte circa 109 particelle virali, principalmente nei linfonodi. La duplicazione di una cellula CD4 contente il DNA provirale integrato, detta espansione clonale, generando due cellule figlie anch’esse contenti il virus HIV integrato contribuisce al perpetuarsi dell’infezione, ostacolando l’eradicazione virale definitiva dall’organismo umano.
 
“Capire come il sistema immunitario interagisca col virus latente - conclude Emmanuele Venanzi Rullo, specialista infettivologo e dottorando dell’Università di Messina che sta lavorando a questo progetto presso l’University of Pennsylvania - può portare alla capacità di perturbare questo equilibrio naturale che permette all’HIV di persistere nonostante una terapia attiva e funzionante come quella attuale e apre nuovi scenari verso la sua eradicazione”.
8 marzo 2019
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