La celiachia è una intolleranza alimentare permanente, su base autoimmune, causata dalla gliadina, proteina presente nelle farine di grano, segale e orzo. La molecola, secondo le stime, risulterebbe tossica per almeno una persona ogni cento, e la condizione sarebbe permanente. O almeno, lo sembrava. Secondo uno
studio dell’Iss, pubblicato sulla rivista
Journal of Cereal Science, la nocività di questa proteina nelle persone celiache potrebbe infatti essere combattuta da un decapeptide (molecola costituita da 10 amminoacidi) naturalmente presente in alcuni cereali. La ricerca è stata condotta in collaborazione con l’Università di Foggia e il CRA (Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura).
Il decapeptide, denominato pRPQ, è in grado di prevenire la tossicità della gliadina in vari modelli in vitro della malattia, compresa la coltura di mucosa intestinale di pazienti celiaci, tessuto che riproduce i meccanismi di tossicità del glutine in vivo. “Abbiamo testato questo effetto protettivo in particolare su tre modelli”, ha spiegato
Marco Silano, direttore del Reparto Alimentazione, Nutrizione e Salute dell’Iss e co-autore dello studio a Quotidiano Sanità. “Inizialmente abbiamo testato pRPQ sulle cellule k652, un gruppo di unità biologiche che quando entrano in contatto con la gliadina si agglutinano, un termine tecnico che viene usato per dire che si avvicinano. Su questo modello abbiamo ottenuto il primo risultato positivo, visto che il peptide preveniva completamente l’agglutinazione”, ha continuato il ricercatore: “Poi abbiamo usato le cellule T84, di linea intestinale umana, che si attivano a contatto con la proteina che causa la celiachia. Anche in questo caso, il peptide pRPQ riusciva a bloccare l’attività delle cellule”.
Infine, è arrivato il test più difficile, quello sul tessuto che è considerato il golden standard per la celiachia: una biopsia di mucosa duodenale/intestinale di pazienti affetti dall’intolleranza. Questo tessuto, infatti, a contatto con la gliadina si comporta esattamente come farebbero gli organi delle persone celiache. “Abbiamo messo a confronto l’attivazione del sistema immunitario nei due casi opposti: nel caso in cui il tessuto veniva messo a contatto con la sola proteina tossica, e il caso in cui a questa veniva ‘affiancato’ anche il peptide”, ha spiegato il ricercatore. “Così abbiamo dimostrato che di poter prevenire la risposta autoimmune, a patto che le due molecole (gliadina e pPRQ) si trovavassero in un rapporto di circa uno a uno”.
Una delle cose interessanti di questo peptide, poi, è che si tratta di una molecola presente normalmente in alcuni cereali. “La cosa bella di pPRQ è che non si tratta di un peptide di sintesi, una molecola disegnata artificialmente”, ci ha spiegato Silano. “Esso è presente naturalmente in alcuni cereali, come grano e segale, che sono in generale degli ‘alimenti proibiti’ per i celiaci. Il punto è che in questi cereali la molecola è presente in rapporto insufficiente rispetto alla quantità di gliadina”.
Si potrebbe quindi ipotizzarne l'uso in terapia, qualora studi in vivo sul paziente ne confermassero l'azione protettiva. La molecola potrebbe in questo caso consentire ai soggetti celiaci un normale consumo di glutine e garantire un miglioramento della loro qualità di vita. “Non per forza si tratta di sviluppare nuovi farmaci, ma si potrebbe ad esempio pensare a dei supplementi, integratori o alimenti che aumentino la quantità di peptide alla quale l’organismo delle persone celiache viene esposto”, ha spiegato il ricercatore.
Lo studio apre dunque nuovi potenziali campi per la ricerca. Che potrebbero cambiare la vita alle persone che sono affette da un’intolleranza che, a tutt'oggi, è controllabile solo attraverso l'esclusione del glutine dal regime alimentare e il ricorso a diete speciali. “Dovremo ancora lavorare in questo campo – ha concluso Silano – ad esempio per risolvere il problema della biodisponibilità dell’organismo a questo peptide, ovvero dovremo capire la quantità della molecola somministrata tramite alimenti o integratori può essere assimilata ed entrare in circolazione nell’organismo”. Come a dire: un conto è avvicinare in vitro la molecola ai tessuti malati, un conto è studiare il modo di farla sopravvivere intatta alla digestione, in modo che il trattamento possa essere efficace.
Laura Berardi