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QS Edizioni - sabato 21 dicembre 2024

Scienza e Farmaci

Insulina in “pillole”. Dal Mit un mini device che una volta ingerito somministra il farmaco direttamente nello stomaco

di Maria Rita Montebelli
immagine 11 febbraio - Grande come un pisello, si assume oralmente ed è in grado di somministrare l’insulina con una microiniezione direttamente nella parete dello stomaco. La microcapsula di acciaio inossidabile contiene infatti un ‘microago’ di insulina essiccata che, arrivato nello stomaco, viene ‘sparato’ attraverso la sua parete da una molla biodegradabile. Nel maiale funziona. Tra tre anni gli studi sull’uomo, assicurano dal Massachusetts Institute of Technology
Sono tanti nel mondo i gruppi di ricerca che stanno tentando di mettere a punto il colpo del secolo: rendere l’insulina (e le altre molecole ‘fragili’) disponibile in somministrazione orale, insomma l’insulina in pillola.
 
Le ultime notizie vengono da Boston, dove un gruppo di scienziati del Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha pubblicato su Science una possibile soluzione, testata su modello animale. Se la ‘pillola’ dovesse funzionare, potrebbe essere l’uovo di Colombo anche per una serie di altre terapie finora disponibili solo nel formato iniettivo.
 
E’ da molti anni che ricercatori di tutto il mondo si stanno industriando a risolvere questo rompicapo del come riuscire a somministrare per os l’insulina, per abbandonare penne e siringhe. Il problema è che l’insulina è una proteina e il lavoro dello stomaco è di digerire le proteine; quindi, una formulazione orale deve innanzitutto proteggere l’insulina dalla digestione e consentirle di arrivare intatta al duodeno, dove, assorbita nel torrente ematico, può andare a svolgere la sua azione metabolica sui suoi organi target.
 
“Abbiamo avuto l’idea – spiega l’ autore senior dello studio, il dottor Giovanni Traverso, gastroenterologo del Brigham & Women’s Hospital di Boston, che ha lavorato insieme a Robert Langer del MIT e a Novo Nordisk-  di mettere a punto una sorta di ‘iniezione ingeribile’, cioè di un piccolo device che consenta all’insulina di essere somministrata attraverso le pareti dello stomaco. Il device scende dall’esofago nel giro di pochi secondi e arriva allo stomaco dove il farmaco si rende disponibile.
 
Un primo problema da risolvere è di far sì che questa sorta di ‘navicella’ contenente l’insulina ‘atterri’ nel punto giusto, anche se la persona è in movimento. A questo scopo i ricercatori si sono ispirati per la forma della ‘navicella’ alla tartaruga leopardo africana che può facilmente rimettersi in posizione, anche quando si ribalta, grazie alla speciale angolatura del suo carapace. Gli scienziati americani hanno dunque realizzato una capsula di forma simile, con un fondo appesantito che, una volta raggiunto lo stomaco, può riassumere la posizione corretta e bloccarsi .
 
Quindi il team del MIT è andato a disegnare un microiniettore, una sorta di ago fatto però di insulina essiccata e compressa in una forma appuntita. Per renderla più efficace i ricercatori le hanno collegato una minuscola molla ad un disco di zucchero indurito. Le secrezioni acide dello stomaco sciolgono gradualmente lo zucchero finché la molla scatta, ‘sparando’ l’insulina nella parete dello stomaco.
Negli esperimenti condotti sui maiali, l’iniezione ingeribile ha ridotto la glicemia a livelli paragonabili a quelli ottenuti con le classiche somministrazioni per iniezione sottocutanea.
 
Una volta svolto il suo compito, la capsulina di acciaio inossidabile e di materiale biodegradabile, viene eliminata dall’intestino.
 
Un primo ostacolo è rappresentato dal fatto che il sistema funziona solo a stomaco completamente vuoto, quindi non andrebbe bene per le dosi di insulina post-prandiale. Per quanto riguarda le microiniezioni nello stomaco, queste invece secondo i gastroenterologi non rappresentano alcun problema. Certo bisognerà vedere nel lungo termine come lo stomaco si adatti a ricevere tante microinieizioni quotidiane.
 
Per il momento dunque continuano gli studi su modello animale. Ma i ricercatori ritengono di poter iniziare le sperimentazioni nell’uomo nell’arco dei prossimi tre anni.
 

 
Fonte immagine: Mit
 
Maria Rita Montebelli
11 febbraio 2019
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