(Reuters Health) – I test universali per i virus dell’epatite B e C sembrano essere utili in pazienti che hanno ricevuto una diagnosi di cancro. È quanto emerge da uno studio multicentrico. Come riportato su Jama Oncology,
Scott Ramsey e colleghi, del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, hanno valutato i pazienti in modo prospettico entro 120 giorni dalla diagnosi di cancro.
Tra il 2013 e il 2017 sono stati sottoposti a screening per Hbv, Hcv e Hiv oltre 3.000 pazienti con precedenti infezioni e pazienti con stato virale sconosciuto. In totale, il 6,5% dei pazienti aveva un Hbv precedente, lo 0,6% aveva Hbv cronica, il 2,4% aveva Hcv e l’1,1% aveva Hiv.
Tuttavia, una percentuale sostanziale di pazienti (l’87,3%) con infezione pregressa da Hbv non è stata diagnosticata prima dello screening legato allo studio. È successo anche per il 42,1% di quelli con Hbv cronica e per il 31% di quelli con Hcv.
Solo due infezioni da Hiv (il 5,9%) sono state nuovamente diagnosticate mediante screening.
I commenti.
“Mentre i nostri risultati non suggeriscono che lo screening universale dell’Hiv sia necessario per i malati di cancro – osserva Ramsey – forniscono nuove prove per la comunità oncologica sull’opportunità di richiedere screening per l’epatite, particolarmente importante ora che siamo entrati nell’età delle immunoterapie per il cancro”. Ramsey e colleghi stanno attualmente analizzando i risultati di uno studio separato per determinare se gli screening per l’epatite universale e per l’Hiv di pazienti oncologici sarebbero economicamente vantaggiosi.
Fonte: JAMA Oncol 2019
David Douglas
(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)