Il glioblastoma è il più comune tumore maligno primitivo del cervello negli adulti e il suo trattamento standard prevede la resezione chirurgica seguita da chemioradioterapia concomitante e da chemio adiuvante con temozolomide. Nonostante il trattamento tuttavia, l’aspettativa di vita di questi pazienti è in genere inferiore ai 24 mesi e le recidive inevitabili.
Alla recidiva inoltre non ci sono trattamenti ben definiti (la loro efficacia è comunque scarsa) e la scelta è in genere tra un regime a base di nitrosurea e lomustina (agente alchilante sintetico)
Un tumore molto vascolarizzato
Dato che questa forma tumorale è tra le più vascolarizzate in assoluto e presenta un’importante espressione di VEGF e altre citochine proangiogeniche, in grado di stimolare la proliferazione delle cellule endoteliali, negli Usa (ma non in Europa) è stato approvato per il trattamento delle recidive il bevacizumab (un anticorpo che blocca il legame del VEGF-A al recettore VEGFR). Questo farmaco infatti ha mostrato un vantaggio di sopravvivenza libera da malattia (PFS) rispetto ai trattamenti a base di nitrosurea. Il bevacizumab tuttavia, da solo o associato a chemioterapia non è risultato in grado di prolungare la sopravvivenza nel glioblastoma, né in prima, né in seconda linea. In modo analogo, bevacizumab non ha aumentato la sopravvivenza (OS), quando aggiunto a radioterapia e temozolomide in prima linea.
Si è ipotizzato dunque che un meccanismo di resistenza del glioblastoma a bevacizumab potesse essere lo sviluppo di angiogenesi BVEGF-A indipendente attraverso l’attivazione di recettori angiogenici indipendenti, compresi alcuni target di regorafenib.
Regorafenib
Il regorafenib è un farmaco orale che agisce inibendo diverse chinasi coinvolte nell’angiogenesi tumorale (VEGFR1-3 e TIE2), nell’oncogenesi (geni KIT, RET, RAF1 e BRAF), nella regolazione del microambiente tumorale (recettore del fattore di crescita piastrinica-PDGFR e recettore del fattore di crescita dei fibroblasti - FGFR) e dell’immunità tumorale (recettore del colony stimulating factor 1).
Il farmaco è approvato da Fda e Ema come monoterapia per il trattamento del cancro del colon metastatico, dei tumori stromali gastrointestinali e del carcinoma epatocellulare.
Lo studio REGOMA
Sulla base di una serie di risultati promettenti, scaturiti dagli studi preclinici, è stato dunque disegnato il REGOMA, uno studio di fase 2 randomizzato, in aperto, multicentrico (è stato effettuato presso 10 centri in Italia e coordinato dall’Istituto Oncologico Veneto - IOV ) che ha coinvolto 119 pazienti con glioblastoma in progressione dopo intervento chirurgico, radioterapia e chemioradioterapia con temozolomide. I pazienti arruolati sono stati assegnati a ricevere in maniera randomizzata regorafenib 160 mg/die per le prime 3 settimane di ogni ciclo di 4 settimane o lomustina 110 mg/m2 una volta ogni 6 settimane fino a progressione, morte, tossicità inaccettabile o ritiro del consenso.
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale (OS) nella popolazione
intention-to-treat.
Il follow up mediano è stato di 15,4 mesi. Alla data di cutoff dell’analisi, risultavano deceduti 99 pazienti su 119, il 71% di quelli assegnati al gruppo regorafenib contro il 95% di quelli del gruppo lomustina. La sopravvivenza globale del gruppo regorafenib è risultata significativamente superiore a quella del gruppo lomustina (rispettivamente 7,4 mesi contro 5,6 mesi). Effetti indesiderati di grado 3-4 si sono verificati nel 56% dei soggetti trattati con regorafenib (reazioni cutanee mani-piedi, aumento di lipasi e di bilirubina), contro il 40% di quelli assegnati a lomustina (riduzione della conta piastrinica, linfocitaria e neutropenia).
Gli autori concludono che il REGOMA ha mostrato un incoraggiante beneficio sulla sopravvivenza globale nel glioblastoma recidivato; il regorafenib potrebbe dunque candidarsi come nuovo potenziale trattamento in questa categoria di pazienti e merita di essere investigato in uno studio di fase 3.
Lo studio REGOMA è pubblicato su
Lancet Oncology.
Maria Rita Montebelli