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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Scienza e Farmaci

L’identikit della cardiologia riabilitativa del terzo millennio nel position paper di GICR-IACPR

immagine 26 ottobre - Presentato a Genova in occasione del congresso nazionale dell’Associazione Italiana per la cardiologia riabilitativa e preventiva, un documento sulla cardiologia riabilitativa 3.0. Una disciplina che eroga interventi salvavita (riduce del 30% il rischio di morte e riospedalizzazione) ma che soffre di un basso tasso di referral: solo 1 paziente su 3 dopo un infarto o un intervento cardiochirurgico accede a questi percorsi. L’analisi degli esperti, tra luci ed ombre, con le proposte per approdare alla cardiologia riabilitativa di domani. Per una migliore gestione della cronicità e della prevenzione secondaria in campo cardiologico.
In Italia solo un paziente su tre di quelli dimessi dopo un infarto o un intervento cardio-chirurgico vengono avviati ad un percorso di cardiologia riabilitativa. Ed è un vero peccato, visto che i pazienti sottoposti a cardiologia riabilitativa riducono del 30% di mortalità e riospedalizzazione per cause cardiovascolari.  E’ il background da cui prende le mosse il nuovo position paper della GICR-IACPR (Associazione Italiana per la riabilitazione, prevenzione ed epidemiologia cardiovascolare) presentato oggi a Genova in occasione del congresso nazionale e pubblicato in contemporanea sul Giornale Italiano di Cardiologia.
 
E paradossalmente, l’Italia, che ha una prestigiosa tradizione di cardiologia riabilitativa, dovrebbe ritenersi abbastanza soddisfatta confrontando i suoi numeri ad esempio con gli Stati Uniti, che ha un referral rate del 20 per cento; ma negli Usa, a differenza dell’Italia, il riferimento dei pazienti ad un programma di cardiologia riabilitativa è considerato un indicatore di ‘qualità di cura’ negli ospedali per acuti, e il mancato invio del paziente viene calcolato come un punto di demerito (con ricadute sul rimborso della struttura da parte del sistema Medicare). Negli USA si stima che se si riuscisse a portare questa percentuale al 70 per cento si potrebbero risparmiare qualcosa come 25 mila decessi l’anno e 180 mila riospedalizzazioni tra questi pazienti.
 
“Sulla scorta di questo ragionamento – commenta il professor Roberto F. E. Pedretti, presidente di GICR-IACPR e Direttore del Dipartimento di Cardiologia Riabilitativa, Istituti Clinici Scientifici Maugeri, IRCCS, Pavia - il non avviare un paziente cardiopatico dopo un evento acuto ad un programma di CPR equivale ad un ‘sotto-trattamento’, ad esporlo cioè ad un rischio di morte e riospedalizzazione aumentato sino al 30-40 per cento”.
 
Tra le prime sfide da affrontare ci sarà dunque quella di sensibilizzare medici e associazioni pazienti all’importanza di questa disciplina, troppo spesso confusa (anche dai sistemi di rimborso ) con altre forme di riabilitazione, quali quella neurologica e motoria e che rivendica al contrario una sua identità, come branca della cardiologia che, in un percorso virtuoso di assistenza al paziente, dovrebbe prendere in carico la post-acuzie. Per traghettare nella maniera migliore il paziente dall’acuzie alla cronicità, ma anche per liberare posti nei reparti per acuti.
 
Il famigerato ‘codice 56’
“Nel nostro Paese, uno degli elementi di criticità  – prosegue il professor Pedretti- è rappresentato dal fatto che a livello ministeriale gli interventi riabilitativi, siano essi cardiologici, motori o neurologici, rientrano tutti nel ‘calderone’ del cosiddetto ‘codice 56’. Per il decisore la cardiologia riabilitativa di per se non esiste, ma si parla genericamente di ‘riabilitazione’ (codice 56). Si ritiene che la prevenzione secondaria sia qualcosa che qualunque medico sia in grado di fare. Questo porta a perdere in specificità ed è un rischio. Non accettiamo di essere inseriti nel grande capitolo della riabilitazione; noi preferiamo parlare di cardiologia riabilitativa, come parte integrante della cardiologia”.
 
I numeri della cardiologia riabilitativa in Italia
Sono 221 (in media di 1 ogni 270 mila abitanti) le strutture di cardiologia riabilitativa e preventiva (CPR) sparse per tutta Italia, ma in maniera non uniforme, stando almeno ai dati dell’ultimo censimento (ISIDE 2013). A queste secondo gli esperti dello GICR-IACPR, se ne dovrebbero aggiungere altre, magari riconvertendo vecchie strutture a questa nuova destinazione d’uso, anche per intercettare il futuro che sempre più dovrà fare i conti con una popolazione di anziani e super-anziani e con lo scompenso cardiaco. L’assistenza si declina in degenziale e ambulatoriale. L’11% delle strutture sono dotate anche di vere e proprie unità di cardiologia sub intensiva che accolgono anche pazienti molto complessi.
 
“Il non disporre di strutture di CPR in alcune aree del Paese può inevitabilmente condizionare una minor efficienza nell’uso dei posti letto per acuti. La disponibilità di un programma di CR 'degenziale', a valle di un ricovero acuto di pazienti con un infarto miocardico o un episodio di scompenso cardiaco a rischio elevato, analogamente a quanto accade per un intervento cardiochirurgico, è infatti in grado di ridurre la durata della degenza ordinaria acuta, assorbendo i pazienti più gravi e/o complessi, migliorando quindi l’efficienza di utilizzo dei posti letto per acuti, rendendoli meglio disponibili alle esigenze del sistema di emergenza-urgenza”.
 
Prevenzione secondaria. Chi se ne occupa davvero?
Ma anche  la parte ambulatoriale dovrebbe essere potenziata per far fronte alle istanze di prevenzione secondaria che rappresentano, insieme alla riabilitazione in senso stretto, il core business di questa disciplina.
 
Il 57% dei pazienti, nei due anni che fanno seguito ad un infarto, abbandonano le terapie, come dimostrano i risultati di una metanalisi condotta su 370 mila pazienti ; quella della mancata compliance è dunque un problema serio, che provoca in Europa 200 mila decessi all’anno e genera costi per 125 miliardi di euro. Un’emergenza da affrontare in futuro anche con strumenti di e-health e di m-health (mobile health).
 
“La cardiologia riabilitativa del futuro – prosegue il professor Pedretti - dovrà sempre più fare i conti con la popolazione anziana, destinata a crescere, con le sue problematiche di fragilità e di barriere all’accesso alla CPR (scarsa motivazione dei pazienti, insufficiente conoscenza dei benefici della CPR da parte dei medici, accessibilità alle strutture). Sarà inoltre necessario ‘contaminare’ la cardiologia tradizionale con la cultura geriatrica relativa a problematiche quali fragilità, sarcopenia, decondizionamento fisico, aspetti cognitivi e psicosociali”.
E per stare al passo con i tempi e gestire le problematiche del futuro la cardiologia riabilitativa è passata da una connotazione ‘esercizio-centrica’, alla multidisciplinarietà del team, per aprirsi infine agli strumenti del futuro. “La cardiologia riabilitativa 3.0 – prevede il prof. Pedretti - si avvarrà sempre più di strumenti digitali (e-health), quali sensori di segnali biologici indossabili nella vita di tutti i giorni che consentiranno il monitoraggio da remoto di una serie di parametri vitali e applicazioni di mobile health (m-health) che contribuiranno all’empowerment del paziente e alla gestione della ‘fase 3’ della cardiologia riabilitativa, ovvero alla gestione ambulatoriale a lungo termine del paziente cardiopatico, assicurandone l’aderenza alla prescrizioni farmacologiche e ad un corretto stile di vita: dieta sana, esercizio fisico e astensione totale dal fumo”.
 
Le criticità attuali della cardiologia preventiva e riabilitativa
 
Il basso tasso di invio ai programmi di cardiologia riabilitativa (in Italia il 30 per cento) che priva larghe fasce di popolazione di un intervento molto efficace nel contenere la disabilità e ridurre la morbilità e mortalità a distanza. Si tratta tra l’altro di interventi inclusi nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e in quanto tali rimborsati. “È necessaria un’opportuna sensibilizzazione dei medici (ma anche dei pazienti) – afferma Pdretti -  anche richiamando i medici potenzialmente referenti ad un obbligo di cura, considerando la rinuncia alla CPR allo stesso modo della rinuncia ad un antipertensivo nell’iperteso, ad una statina nell’ipercolesterolemico, ad uno stent nell’infartuato. Anche le associazioni dei pazienti potrebbero contribuire ad incrementare un atteggiamento attivo di richiesta di prestazioni CPR da parte dei pazienti stessi, anche elaborando delle raccomandazioni civiche”.
 
Eterogeneità dei percorsi riabilitativi sul territorio nazionale. Il‘brand’ CPR dovrebbe essere difeso come un prodotto DOC per garantire che il percorso riabilitativo erogato comprenda tutti i core components e le prestazioni ‘irrinunciabili’, come sancito dal documento Minimal Care redatto qualche tempo fa da GICR-IACPR. Una soluzione potrebbe venire dall’accreditamento delle strutture, non solo sul piano istituzionale, ma anche culturale e scientifico di cui si farebbe garante la GICR-IACPR
 
Le parole hanno un peso: cardiologia riabilitativa e non riabilitazione cardiologica. Si parla spesso di ‘riabilitazione cardiologica’, e non come correttamente dovrebbe essere, di ‘cardiologia riabilitativa’, e questo fa sì che questi interventi vengano considerati dal sistema sanitario e dal decisore istituzionale parte della riabilitazione genericamente intesa e non della cardiologia. Questo porta ad una perdita di specificità e di caratterizzazione, non utile per la CPR e dannosa per i pazienti
 
Le proposte per la cardiologia preventiva e riabilitativa del futuro
 
Riabilitazione cardiologica sempre più multidisciplinare. Il team riabilitativo, già multidisciplinare (comprende cardiologo, infermiere, fisioterapista, dietista, psicologo) dovrà diventarlo sempre più in futuro per gestire al meglio pazienti di età avanzata e con diverse comorbilità associate. In quest’ottica dovranno essere coinvolti nella gestione dei pazienti anche l’assistente sociale, il farmacista e tutta una serie di specialisti (internista,  diabetologo, pneumologo, nefrologo, cardiochirurgo, fisiatra, infettivologo)
 
Il ruolo delle associazioni di pazienti. Operando in sintonia e piena collaborazione con le strutture di Cardiologia afferenti al loro territorio, possono svolgere un ruolo di complementarietà e non di sussidiarietà. Sarebbe opportuno che contribuissero a far conoscere i benefici della cardiologia riabilitativa tra i pazienti e che se ne facessero portavoce nei confronti delle Istituzioni, visto che l’accesso alla CPR non è ancora garantito a molti pazienti cardiopatici, con ricadute sempre più evidenti sulla salute della collettività
 
A scuola di cardiologia riabilitativa. Più forte è la clinical competence del team di cardiologia riabilitativa, migliori saranno i risultati dell’intervento. In questo settore della cardiologia manca ancora un ‘subspecialty curriculum’ condiviso a livello internazionale, anche se GICR-IACPR ha fornito una possibile base di partenza definendo i cosiddetti ‘Minimal Care’ cioè le singole competenze, il ‘chi fa che cosa’ all’interno del team di CPR. Tra le proposte operative per il futuro: scrivere un ‘syllabus’ unico per la formazione del team multidisciplinare della CPR; monitorare periodicamente la rete delle CPR italiane e valutarne il grado di clinical competence degli operatori del team interdisciplinare, avviando nel tempo un accreditamento presso la European Association of Preventive Cardiology; promuovere nelle università dei master in Cardiologia Preventiva e Riabilitativa
 
Un PDTA condiviso per la cardiologia riabilitativa. In una sanità declinata e frammentata nelle diverse regioni, anche le attività di cardiologia riabilitativa sono molto eterogenee. Per questo gli esperti della GICR-IACPR auspicano un’armonizzazione dei percorsi diagnostico-terapeutico assistenziale  (PDTA) di cardiologia preventiva e riabilitativa con le differenti normative regionali che definiscano tra l’altro i criteri clinici e di priorità di accesso agli interventi di CPR, i setting di erogazione dell’intervento riabilitativo (degenza, ambulatorio), i requisiti strutturali-tecnologici-organizzativi necessari per fornire un intervento di qualità come già avviato in alcune Regioni (Lombardia,  Sicilia e Veneto).
 
L’identikit della cardiologia riabilitativa del terzo millennio
 
Cos’e la cardiologica riabilitativa. La cardiologia riabilitativa è la branca della cardiologia dedicata alla cura del paziente cardiopatico dopo un evento acuto o cronico. La sua mission è quella di migliorare la qualità di vita di questi pazienti e la loro prognosi. tutto ciò viene ottenuto stratificando la prognosi, ottimizzando la terapia farmacologica e non, gestendo le comorbidità (numerose nel paziente anziano), attraverso il trattamento della disabilità, facendo prevenzione secondaria e assicurando il mantenimento dell’aderenza alla terapia.
 
Per chi è la cardiologia riabilitativa. Gli interventi di cardiologia riabilitativa sono indicati dopo una sindrome coronarica acuta (infarto) e dopo interventi di cardiochirurgia coronarica (by-pass) e valvolare e nello scompenso cardiaco post-acuto e cronico. A queste raccomandazioni, considerate ‘obbligatorie’ dagli esperti, se ne stanno aggiungendo altre, quali la cardiopatia ischemica cronica e l’arteriopatia obliterante cronica degli arti inferiori, i pazienti avviati ad un trapianto cardiaco, portatori di cuore artificiale o di dispositivi elettrici cardiaci quali i defibrillatori e la terapia di resincronizzazione
 
Quali sono gli obiettivi della cardiologia riabilitativa. Ottenere la stabilizzazione clinica del paziente, ottimizzare la terapia, prescrivere e implementare l’attività fisica, fornire un supporto educazionale sui fattori di rischio legati ad uno stile di vita sbagliato, gestire il disagio socio-emotivo, fornire un counseling specifico, valutare periodicamente il raggiungimento degli obiettivi, assicurare l’aderenza del paziente alle terapie, soprattutto a quelle innovative (doppia anti-aggregazione piastrinica, nuovi anticoagulanti, statine/ezetimibe o inibitori di PCSK9, sacubitril-valsartan).
26 ottobre 2018
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