(Reuters Health) – L’espressione di NR2F1 potrebbe aiutare a prevedere se un tumore che ha avuto origine nel seno andrà a formare metastasi a livello osseo. A suggerirlo è una ricerca pubblicata su Breast Cancer Research e coordinata da
Julio Aguirre-Ghiso, della Icahn School of Medicine al Mount Sinai di New York.
La premessa
. Secondo i ricercatori, le cosiddette cellule tumorali disseminate (DTCs) nel midollo osseo sono un fattore prognostico nel tumore del seno nelle fasi iniziali, ma non sempre aiutano a predire l’esito della malattia dal momento che le cellule tumorali possono restare ‘dormienti’. Mancano, dunque, indicatori che possano predire il ‘potenziale di risveglio’ dei DTC, e recenti test di laboratorio hanno dimostrato che NR2F1 potrebbe giocare un ruolo in questo stato di quiete apparente.
Lo studio.
Per valutare questo potenziale indicatore, Aguirre-Ghiso e colleghi hanno analizzato l’espressione di NR2F1 in 114 campioni di midollo osseo da 86 pazienti con tumore del seno DTC-positivo. Inoltre, 15 campioni sono stati analizzati per il biomarker di proliferazione Ki67. Dai risultati è emerso che tra i pazienti con DTC rilevabili, il 27% aveva almeno il 50% di cellule tumorali disseminate ad alta espressione di NR2F1, una quantità scelta come soglia per la classificazione del ‘profilo dormiente’.
Tutte le pazienti che avevano avuto una recidiva, entro un anno dalla biopsia presentavano meno dell’1% di cellule tumorali disseminate ad alta espressività di NR2F1. E tra le pazienti che avevano a disposizione più campioni, la metà di quelle che non avevano avuto recidive al follow-up hanno mostrati un’alta espressività di NR2F1 nelle DTCs dell’ultima aspirazione analizzate.
Tra le 18 pazienti che non avevano avuto recidive al momento dell’ultima aspirazione con DTC e che non avevano eseguito test successivi, intervalli più prolungati liberi da malattia erano più probabili quando NR2F1 era ad alta espressività rispetto livelli di NR2F1 prevalentemente basso nei DTCs. La sopravvivenza, infine, non è stata influenzata dai DTC che esprimono Ki67.
I commenti
L’esame, tuttavia, “ha bisogno di ulteriore validazione”, sottolinea Aguirre-Ghiso. E quanto tempo ci vorrà prima che il biomarker arrivi in clinica “dipende da quanto i medici saranno disposti a usarlo nelle loro prove”. Il prossimo passo del team, invece, sarà raccogliere “ulteriori informazioni su come NR2F1 induca la quiescenza e su come trarre vantaggio da questo meccanismo”, conclude il ricercatore.
Fonte: Breast Cancer Research
Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)