Dallo studio del microbioma intestinale potrebbe derivare una nuova classe di farmaci contro la cardiopatia ischemica. È l’interessante linea di ricerca portata avanti dalla Cleveland Clinic (USA), i cui risultati preliminari saranno pubblicati, a firma di
Stanley Hazen, sul numero di settembre di
Nature Medicine.
La nuova classe di composti non ha nulla a che vedere con gli antibiotici, che uccidono in maniera aspecifica i batteri intestinali e possono in questo modo determinare forme di resistenza batterica ed effetti collaterali. I farmaci putativi messi a punto dei ricercatori americani al contrario sono molto specifici e diretti contro un
pathway microbico specifico, che mira a bloccare la produzione di TMAO (trimetilamina N-ossido) un prodotto batterico che si forma durante la digestione e risulta correlato alla cardiopatia ischemica. I livelli di TMAO aumentano in particolare durante la digestione di colina, lecitina e carnitina, nutrienti che abbondano nelle carni rosse, nel fegato ma anche nel rosso d’uovo e nei latticini ad elevato contenuto di grassi.
Elevati livelli di TMAO nel sangue si sono dimostrati predittivi di infarti, ictus e mortalità correlata, secondo ricerche pregresse sempre portate avanti da questo gruppo e replicate da altri nel mondo. In particolare, il gruppo di Hazen ha dimostrato che il TMAO influenza la reattività delle piastrine e il potenziale trombotico. Come ricaduta di queste ricerche, i livelli di TMAO possono adesso essere dosati in clinica.
Nello studio pubblicato su
Nature, Hazen ha dimostrato che una nuova serie di inibitori (i cosiddetti inibitori basati sul meccanismo) sono potenzialmente in grado di interrompere il
pathway del microbioma intestinale che porta alla formazione di TMAO. Dato che questi nuovi composti sono strutturalmente simili alla colina (sono cioè degli analoghi), i batteri intestinali li ‘assumono’ come nutrienti e una volta entrati al loro interni, vanno ad inattivare l’enzima cutC (
choline utilization protein C), bloccando così la produzione di TMAO. “Questo approccio – commenta Hazen – potrebbe essere utilizzato anche per colpire altri
pathway batterici. Siamo ansiosi di testare questa strategia sull’uomo”.
Lo studio pubblicato, condotto su modello animale, ha dimostrato che una singola dose di questo nuovo composto è in grado di ridurre in maniera significativa per almeno tre giorni i livelli circolanti di TMAO e, cosa più importante, di correggere sia l’esaltata attività piastrinica, che l’aumentata formazione di trombi successiva ad un danno arterioso. Per contro, non è stato osservato un aumentato rischio di sanguinamento (comune effetto collaterale delle classiche terapie anti-piastriniche).
Una volta somministrato, il farmaco è solo in minima parte assorbito dall’organismo, limitandosi ad agire localmente nell’intestino, dove agisce contro questo
pathway microbico. Non distruggendo infine la flora microbica intestinale, il nuovo farmaco non dovrebbe contribuire a dare fenomeni di antibiotico-resistenza.
Maria Rita Montebelli