Le cellule tumorali utilizzano diverse vie metaboliche ‘inusuali’ per catabolizzare i nutrienti in maniera tale da supportare la loro crescita aberrante. Da tempo queste vie metaboliche sono sotto stretta osservazione dei ricercatori in quanto potrebbero rappresentare il tallone d’Achille delle cellule cancerose, da sfruttare dunque a fini terapeutici. Riuscire a bloccarle potrebbe significare affamare il tumore e forse sconfiggerlo.
Uno studio del Crick Institute di Londra, condotto sui topi e pubblicato lo scorso anno, suggeriva che la restrizione dietetica degli aminoacidi serina e glicina prolunghi la sopravvivenza di topi geneticamente modificati per essere più a rischio di sviluppare un tumore. Si tratta di aminoacidi che favoriscono la crescita cellulare in condizioni di scarsa ossigenazione, condizione abituale all’interno del tumore.
La dieta potrebbe dunque essere un prezioso alleato della terapia anti-tumorale. E a confermarlo sarebbero anche i risultati di due recenti studi, sempre su modelli animali.
Il primo, pubblicato su
Nature a firma di ricercatori del Broad Institute of Harvard e del Massachusetts Institute of Technology (Boston, USA) ha dimostrato che supplementare il mangime dei topi con l’aminoacido istidina aumentava l’efficacia del metotrexato contro le cellule leucemiche. L’istidina, aminoacido che abbonda nella carne e nei legumi può essere somministrata come supplemento nutritivo. Gli autori di questa ricerca hanno screenato le cellule tumorali per ricercare i geni coinvolti nella risposta al metotrexate; questo ha portato ad individuare un gene che codifica un enzima implicato nella sintesi dell’istidina. I ricercatori hanno dimostrato che la supplementazione di istidina rendeva le cellule leucemiche più sensibili al metotrexate. Se tutto ciò venisse confermato anche nell’uomo, sarebbe possibile utilizzare il metotrexate a dosaggi più bassi e quindi meno tossici.
L’atro studio, condotto da ricercatori del Meyer Cancer Center, Weill Cornell Medicine (New York, Usa) sempre pubblicato su
Nature, suggerisce invece che utilizzare una dieta in grado di influenzare le concentrazioni di insulina, può rendere più efficace il trattamento con gli inibitori della PI3K (fosfatidilinositolo -3- chinasi). La PI3K è una proteina spesso mutata nelle cellule cancerose e come tale in grado di stimolare la crescita tumorale. Gli inibitori della PI3K hanno mostrato dei risultati incostanti nei trial clinici e questo studio dimostra che la spiegazione di questo fenomeno potrebbe essere ricercata, almeno in parte, nel fatto che quando si va ad inibire la PI3K, i livelli di insulina aumentano. L’insulina a sua volta infatti va a riattivare la via molecolare controllata da PI3K, eludendo in questo modo l’effetto dei farmaci. Prevenire l’aumento dei livelli di insulina, attraverso farmaco o una dieta a bassissimo contenuto di carboidrati (dieta chetogenica), previene la riattivazione di questo pathway e potenzia l’efficacia degli inibitori di PI3K. Almeno nei topi.
Il passo successivo consisterà adesso nel vedere se, quanto osservato nei topi, sia vero anche per i pazienti oncologici. Gli ostacoli da superare non sono pochi. Sebbene certamente motivati, i pazienti oncologici potrebbero avere problemi a seguire una dieta molto restrittiva come quella chetogenica. Inoltre, il metabolismo varia molto da un paziente all’altro e non è detto che tutti rispondano a queste ‘diete su misura di farmaco’ allo stesso modo.
Maria Rita Montebelli