La pubblicità è l’anima del commercio, recita uno slogan un po’ vintage. Ma anche della cattiva salute, quando gli avvisi commerciali riguardano alimenti non proprio salutari. A lanciare l’allarme è uno studio che arriva da Vienna dove inizia oggi lo
European Congress on Obesity(ECO) e che dimostra come assistere anche ad una sola réclame di troppo a tema ‘junk food’ a settimana comporta un consumo di 350 calorie in più di alimenti, peraltro contenenti troppo sale, troppi grassi e troppi zuccheri (HFSS). Un carico di calorie inutile e dannoso che, a fine anno, mantenendo questa media settimanale, può arrivare addirittura a sforare le 18.000 calorie extra.
Lo studio, condotto dal
Cancer Research inglese ha analizzato in maniera sistematica l’effetto delle pubblicità televisive o in
streaming ed è il più vasto condotto finora, avendo coinvolto 3.300 adolescenti dagli 11 ai 19 anni. “Il marketing del cibo-spazzatura – commenta in maniera molto prosaica,
Jyotsna Vohradel
Cancer Policy Research Centrepresso il
Cancer Research – è correlato all’obesità in età giovanile ed è noto che l’obesità è implicata in almeno 13 tipi di tumore”.
Il problema dell’obesità in età infantile-adolescenziale non è di poco conto se si considera che negli Usa il tasso di obesità all’età di 12 -19 anni è passato dal 5% del 1980, al 17,6% del 2008. Anche da questa parte dell’Oceano la situazione non è più favorevole. In Gran Bretagna ad esempio ad essere obeso è un ragazzino su 5 all’età di 10-11 anni e un adulto su quattro. Essere obesi da ragazzini comporta non solo un rischio 5 volte maggiore di diventare adulti obesi, ma aumenta anche il rischio di malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e una serie di tumori.
Non è d’altronde la prima volta che la televisione o comunque lo ‘
screen time’ (il vero pericolo per le nuove generazioni è rappresentato da computer e tablet più che dalla TV) viene chiamato in ballo come causa di obesità; di certo per la sedentarietà che induce ma, stando ai risultati di questo studio, anche per il cibo spazzatura denso di calorie che induce a consumare. Un precedente studio di
Cancer Research aveva già dimostrato che i
teenager che riferiscono di vedere almeno tre ore al giorno di programmi commerciali in TV hanno il doppio di probabilità di consumare grosse qualità di alimenti HFSS, rispetto agli altri. E se questa diventa un’abitudine consolidata, il rischio di sviluppare una condizione di sovrappeso o di obesità franca è molto concreto.
Tornando allo studio inglese, le pubblicità più ‘obesogene’ sono risultate quelle più divertenti, accattivanti e mirate agli adolescenti. I ragazzi che risultavano più familiari con le réclame dei fast-food erano quelli che tendevano a consumare un a maggior quantità di cibi HFSS e di conseguenza ad ingrassare. I soggetti più vulnerabili sono apparsi quelli che vivono in contesti più degradati da un punto di vista socio-economico. “E sono proprio loro – afferma Vohra - che potrebbero maggiormente beneficiare di politiche più restrittive volte a ridurre l’esposizione alle pubblicità di cibo spazzatura”.
E d’altronde l’industria alimentare non investirebbe centinaia di milioni in pubblicità se solo sospettasse che il suo messaggio non andasse a target. Per avere un ordine di grandezza delle cifre di cui si parla, nel 2017 un rapporto di
Obesity Health Alliancerivelava che l’industria alimentare, in Gran Bretagna, investiva in pubblicità 143 milioni di sterline, contro i 5 milioni di sterline spesi dal Governo inglese per le campagne del mangiare sano. 30 volte tanto.
“I regolamenti delle trasmissioni televisive in Gran Bretagna - riflettono gli autori – non sono più stati aggiornati dal 2008 e questa ricerca dimostra che le attuali restrizioni non stanno evidentemente funzionando. Dobbiamo renderci conto che i ragazzi ormai passano più tempo davanti ad uno schermo che a svolgere qualsiasi altra attività, a parte forse il dormire; ridurre la loro esposizione alle pubblicità di cibo spazzatura rivestirebbe dunque grande importanza per la loro salute e per proteggerli dall’obesità.”
Maria Rita Montebelli