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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Schizofrenia. Colpito un italiano su 100. Più spesso nelle grandi città

immagine 16 novembre - Solo a Milano erano 11.500 le persone sottoposte a trattamento farmacologico nel 2008. I dati da un’indagine di Onda, che denuncia anche il peso dell’assistenza che ricade sulle donne perché “i mezzi e gli strumenti di supporto, pubblici e privati, sono insufficienti”.
Le terapie farmacologiche restano l’unica arma di salvezza per il controllo della schizofrenia e delle reazioni anche molto aggressive di chi ne soffre. Perché “scarsi, se non assenti”, sono mezzi e gli strumenti di supporto, pubblici e privati, i sussidi sociali o le badanti. Nonostante l’incidenza di questo grave disturbo: si stima che colpisca un italiano su 100, soprattutto nelle grandi città, con una leggera prevalenza degli uomini rispetto alla popolazione femminile, maggiormente protetta da fattori ormonali e da un ambiente più favorevole.
A lanciare l’allarme è l’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (Onda), che con il supporto incondizionato di Janssen ha condotto un’indagine qualitativa su 65 care giver con l’obiettivo di studiare nel dettaglio proprio l’impatto della schizofrenia nella quotidianità del care giver.

Si scopre così che ad assistere le persone affette da schizofrenia sono per lo più donne, madri, sorelle, mogli “segregate”, denuncia Onda, almeno 9 ore al giorno, ogni giorno, da almeno 5 anni, con gravi ripercussioni sulla propria qualità della vita, costrette a scegliere un lavoro part-time (26%), a limitare gli spazi da dedicare a se stesse e al proprio tempo libero (43%), al partner (38%) e figli (33%), a ridurre le relazioni sociali (24%).
E la donna risente di questa situazione sia nell’umore – senso di impotenza, rabbia e tristezza, insorgenza di depressione (27%), ansia (68%), panico, riduzione o assenza di libido, disturbi del sonno (41%) – sia a livello fisico, con la comparsa di cistiti, emicrania, tachicardia, dolori diffusi e disfunzioni ormonali, sia con l’abitudine a comportamenti scorretti (fumo e scorretta alimentazione).

Senza aiuti, l’unico elemento in cui sperare sono le terapie, a partire da quelle farmacologiche. Dal campione dell’indagine viene molto apprezzata (70%) la loro capacità di ridurre l’aggressività e l’allungamento dei periodi di stabilità (pur con non trascurabili effetti collaterali: eccessiva sedazione e aumento di peso). Dunque un bilancio al negativo sulla qualità della vita della donna cui non resta che sperare in una sempre maggiore efficacia e compliance terapeutica e in un miglior rapporto medico-paziente e medico-care giver con lo psichiatra, primo referente (49%) per il trattamento della malattia.

“I dati della nostra ricerca – ha dichiarato Francesca Merzagora, presidente dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna – evidenziano che i maggiori problemi nella gestione del malato mentale sono ancora oggi rappresentati dalla disarticolazione tra intervento medico e socio-assistenziale. Il care giver di un malato schizofrenico ha un profilo particolare: il più delle volte è una donna della famiglia, spaventata dalla gestione delle crisi e dalle difficoltà quotidiane, da affrontare spesso in solitudine. La malattia psichica richiede invece un approccio multidisciplinare all’interno di strutture dove il malato possa essere assistito, laddove possibile, nel ripristino e reingresso nella vita sociale e di relazione”.

“La schizofrenia – ha spiegato Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano – è un disturbo mentale tra i più gravi e complessi, con esordio giovanile, facile a recidivare, che comporta un progressivo deterioramento cognitivo, sociale e personale, che richiede cure costanti e aderenza alla terapia. Oltre che una assistenza totale da parte delle persone vicine. I disturbi mentali rappresentano, dunque, la sfida del XXI secolo sia per l’impatto sociale ed economico che la malattia riveste sia per il numero di morti ad essi correlate spiegato in parte dal fatto che attualmente in Europa solo 1 paziente su 3 riceve farmaci e, non sempre, la scelta terapeutica è quella adeguata”.

La ricerca condotta da Onda, secondo Massimo Clerici, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Ospedaliera San Gerardo Monza, “ha messo in luce aspetti salienti nella difficoltà di gestione della malattia da parte di familiari e caregiver più volte emersi anche nei contesti delle Associazioni che si occupano di pazienti e familiari affetti da gravi disturbi psichiatrici. Per rispondere a questo bisogno di assistenza psico-emotiva, nell’ultimo trentennio sono state sviluppate molteplici strategie di intervento familiare, al fine di riconoscere il ruolo centrale dei caregiver, ridurne il carico gestionale a beneficio sia della qualità di vita di chi assiste il malato, sia degli esiti clinici dell’intervento sul paziente”.

“L’impegno della donna, principale care-giver nell’assistenza al malato mentale – dichiara Beatrice Bergamasco, presidente di Progetto Itaca – è davvero oneroso, ma esistono realtà anche al di fuori dei contesti ospedalieri che possono dare un concreto supporto a chi vive a fianco della malattia sia in ambito famigliare che della formazione di insegnanti e volontari o dell’informazione. Itaca da anni è impegnata in questa direzione con diversi progetti, promossi e seguiti da personale adeguatamente formato, volontari e counseller che hanno vissuto la malattia e ne conoscono a fondo tutte le sfaccettature: dalla fatica fisica, alla sofferenza psichica e la difficoltà emotiva a questo genere di problematiche, sperimentata in prima persona e perché all’interno di Itaca operano”.

“Mi sento molto vicina non solo a chi soffre di questa malattia ma anche ai familiari dei malati schizofrenici – racconta Francesca Sparacio che divide la sua quotidianità tra l’assistenza a un malato schizofrenico e la professione di medico del Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano –. Ciò che provo è profonda rabbia, un senso di impotenza e una struggente melanconia per la mia incapacità ad aiutare, secondo i miei intendimenti, una persona a me molto cara affetta da questa malattia invalidante. Non c’è altro termine per definirla meglio, poiché la schizofrenia sgretola la persona, la allontana a poco a poco dalla realtà facendole assumere comportamenti condotti dal delirio e dalle dispercezioni. La conseguenza è la creazione di un mondo irreale al quale, anche per i famigliari, diventa sempre più difficile e impossibile avvicinarsi. Ho deciso di portare questa mia testimonianza poiché mi rendo conto che nonostante esista la consapevolezza della gravità della malattia, non se ne parla o non lo si fa a sufficienza, per paura e indifferenza con il risultato di infittire, attorno alla schizofrenia, l’alone di imbarazzo e stigma che ricadono sia sul paziente sia sui famigliari, messi a margine dalla società”.

“Negli ultimi cinquant’anni sono stati compiuti grandi passi avanti nel trattamento farmacologico dei disturbi psichici grazie alla ricerca iniziata dal Dr. Paul Janssen – dichiara Luca Carlo Nardi, Business Unit Director, Pharma Immunology Janssen –. Siamo tuttavia convinti che il nostro impegno non debba esaurirsi nella ricerca clinica ma continuare nell’attenzione e nel supporto trasversale a tutte le figure coinvolte nella gestione della malattia: medici, pazienti, familiari e care giver. Parte da qui la volontà di Janssen di supportare questa importante iniziativa”.
 
16 novembre 2011
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