“I disturbi mentali sono in aumento. Entro il 2020 il numero esploderà soprattutto per quelli di tipo depressivo e ansioso. Gli altri, quelli più cronici, in qualche maniera sono abbastanza stabili. In particolare l’incremento si osserva nei giovani tra i 10 e i 24 anni e negli anziani, categorie sociali in cui possono esserci importanti cambiamenti di vita”.
Questo l’allarme lanciato nel corso del
XXII Congresso Nazionale della Sopsi dedicato al “Progetto Promozione Salute Mentale 20.20. Psicopatologia: connessioni, culture, conflitti” in corso a Roma fino al 24 febbraio. Obiettivo: esplorare i diversi modi in cui la psicopatologia e la psichiatria entrano nelle complessità e nelle difficoltà del vivere contemporaneo.
“Prima si riesce a intervenire e prima si possono installare dei meccanismi di cura che consentono di diminuire i sintomi” ha spiegato
Alberto Siracusano, presidente della Società italiana di Psicopatologia secondo il quale, su questo fronte, è necessario approfondire il concetto delle disuguaglianze. “È fondamentale – ha aggiunto – perché il concetto di diseguaglianza significa una diversità, ma non una diversità di differenza, bensì una diversità di mancanza di risorse. Tutte le mancanze di risorse, sia quelle economiche sia quelle valoriali, emotive o affettive incidono negativamente, permettendo che i disturbi mentali aumentino e crescano”.
Testimonial di eccezione
Carlo Verdone che, nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione, ha ricordato come lo avesse definito una sua fan gravemente malata: “Un ansiolitico naturale, privo di effetti collaterali”. “Ho accolto con piacere l’invito del professor Siracusano – ha spiegato Verdone – perché in fondo, il mio lavoro in qualche modo potrebbe avere qualche parallelismo con quello che fanno psicanalisti e psichiatri”.
Sul suo rapporto con l’ansia, Verdone ha ricordato “l’ho avuta per anni, ci ho convissuto. Senza ansia la mia vita è più piatta. Un po’ mi manca, ma nella vita si cambia. Ho sostituito l’ansia con l’attenzione per i miei figli, anche se ormai sono grandi”. Verdone è poi intervenuto sul fenomeno dei social: “Bisogna farne un uso più accurato. I like e i commenti degli haters non significano nulla perché non hanno nessun rapporto con la vita reale”.
Dal Congresso è emerso inoltre che cresce il numero degli uomini che chiedono aiuto, anche se la patologia resta al femminile: 3 pazienti su 4 sono donne, in pratica il 75% dei malati. Una sofferenza che tocca ogni fase della vita e va oltre l’appartenenza socio-economica. Ci si ammala tutti ma per motivi diversi. Giovani e giovanissimi perché cresce l’esposizione ai fattori di rischio legati alle dipendenze da sostanze, ma anche dalla tecnologia, aumentando così il rischio di suicidio in età sempre più precoce. E la prima adolescenza resta la fase più critica. Le donne più esposte sono quelle con un carico familiare e lavorativo gravoso.
“I sintomi della depressione non cambiano, quello che cambia – ha affermato
Cinzia Niolu, responsabile Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura Policlinico Universitario Tor Vergata – è l’approccio alla malattia. Le donne partono dall’interiorità e dalla dimensione del dolore e della perdita soggettiva, e riescono a parlare delle proprie emozioni. Gli uomini, invece, pur avvicinandosi in maniera maggiore rispetto agli anni scorsi ai servizi di cura psichiatrici, guardano alla dimensione esterna della propria sofferenza, di ciò che non riescono più a fare bene: si lamentano soprattutto del calo delle prestazioni lavorative. Il dolore e la frustrazione per gli uomini toccano la sfera sociale e del successo. La paura più grande è quella di perdere il ruolo nella società, di sentirsi falliti, per esempio, perché non più in grado di garantire lo stesso tenore di vita alla famiglia”.
“Le donne – ha detto
Bernardo Carpiniello dell’Università di Sassari – con più figli e impegni lavorativi sono particolarmente vulnerabili ma poco sostenute dal welfare e dalla famiglia stessa”.
Il boom della depressione, come già segnalato dall’Oms, arriverà nel prossimo decennio fino a diventare nel 2030 la prima causa al mondo di giornate di lavoro perse per disabilità, superando il primato storico delle malattie cardiovascolari. Per questo motivo la Sopsi lancia un grido d’allarme, che non riguarda la dimensione farmacologica e terapeutica su cui si registrano enormi progressi, ma le emergenze sociali che restano il primo fattore scatenante della depressione e di molti altri disturbi psichici”.