Invece di difendere l'organismo, in qualche occasione il sistema immunitario si trasforma in arma contro di esso. Ciò non succede solo nel caso di patologie auto-immuni, ma anche nel caso dei tumori: nello sviluppo e nella diffusione del cancro, infatti, sembrano giocare un ruolo fondamentale anche i macrofagi. Oggi però, grazie ad una ricerca dell'Università di Dalhousie in Nuova Scozia in Canada, è forse possibile bloccare il meccanismo collegato al sistema immunitario che permette la nascita di metastasi e la crescita delle neoplasie. I ricercatori hanno osservato il ruolo di una particolare proteina – S100A10, rilevata sulla superficie delle cellule immunitarie – che permette loro di muoversi e spostarsi all'interno del tessuto tumorale. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cancer Research, apre la strada a nuove possibilità terapeutiche.
“Abbiamo scoperto che S100A10 funziona come un paio di forbici a servizio dei macrofagi”, ha spiegato
David Waisman, docente nei Dipartimenti di Biochimica e Biologia Molecolare e Patologia alla Dalhousie University e coordinatore della ricerca. Queste cellule, una volta attirate nel tessuto malato, vengono riprogrammate e corrotte in modo da contribuire alla vascolarizzazione dei tessuti tumorali, alla soppressione immunitaria, alla formazione delle metastasi e alla loro diffusione nell'organismo. “È proprio questa proteina a permettere loro di aprirsi un varco nei tessuti ed entrare nel sito del tumore, dove poi rilasciano sostanze in grado di stimolare la crescita della neoplasia”, ha continuato il ricercatore.
Lo studio
L'intuizione che è alla base della ricerca deriva da precedenti studi del team di Waisman, che indicavano come la migrazione delle cellule immunitarie diminuisse drasticamente nei topi sprovvisti della proteina S100A10.
Per dimostrare l'idea che la proteina fosse collegata allo sviluppo della neoplasia, i ricercatori hanno inoculato in questi piccoli roditori cellule di un particolare cancro al polmone (carcinoma di Lewis) e di un fibrosarcoma murino. Il team ha controllato poi il tasso di crescita del tumore rispetto a quello di un campione di riferimento di topi selvatici, nei quali la proteina era normalmente espressa.
Gli scienziati hanno così osservato che nel primo gruppo di animali la crescita del tumore si fermava a circa 7 giorni dall'innesto, mentre nello stesso arco di tempo per gli altri lo sviluppo era quasi esponenziale. Diciotto giorni dopo l'inizio dell'esperimento, la massa tumorale risultava nei topi selvatici più grande e più pesante di dieci volte rispetto a quella dei roditori sprovvisti di S100A10. Ulteriori analisi hanno poi dimostrato che, in questi ultimi, i tumori contenevano un numero molto basso di macrofagi e che queste cellule si trovavano solo sul bordo del tessuto malato. Secondo i ricercatori, è proprio questo dato che suggerisce il ruolo di S100A10 nello sviluppo delle neoplasie: i macrofagi sprovvisti della proteina rimangono sulla superficie tumorale perché non sono in grado di aprirsi un varco verso il suo interno, e da questo deriva un deficit nella crescita della neoplasia.
Inoltre, un altro ruolo dei macrofagi all'interno dei tessuti tumorali è quello di stimolare l'angiogenesi, ovvero la formazione di nuovi vasi sanguigni che permettano l'afflusso di nutrienti al tumore. Lo studio dimostra anche che a confronto dei tumori cresciuti nei topi selvatici, quelli dei roditori sprovvisti della proteina S100A10 presentano una densità di vasi sanguigni minore addirittura del 58%.
“Se prima pensavamo che le uniche cellule importanti nei tumori fossero quelle malate, oggi sappiamo che non è così”, ha commentato Waisman. “Abbiamo capito che la crescita e la diffusione delle neoplasie e delle loro metastasi è collegata anche ad altre cellule e altre particolarità dell'organismo umano. La biologia del cancro è molto complicata”. Il ricercatore è convinto che abbiamo ancora molto da imparare prima di sconfiggere questa malattia. “Il prossimo passo per il nostro team è quello di capire come esattamente funzioni S100A10, come metta in atto la capacità di aprire varchi e lasciar passare i macrofagi. E poi, chiaramente, capire come fermarla. I risultati appena pubblicati sono esaltanti proprio per questo: con ogni probabilità, potremo presto trovare il modo di sviluppare una nuova modalità terapeutica che ci permetta di controllare l'espansione delle neoplasie. E magari anche interromperla”.
Laura Berardi