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QS Edizioni - lunedì 25 novembre 2024

Scienza e Farmaci

MGUS: uno studio della Mayo Clinic suggerisce come determinare la prognosi dei pazienti

di Maria Rita Montebelli
immagine 22 gennaio - Lo studio, con un follow up di oltre 30 anni, ha definito dei criteri prognostici precisi per le gammopatie monoclonali di incerto significato (MGUS). Il rischio di progressione verso una forma tumorale è maggiore per le forme IgM e se sono presenti due fattori di rischio: un alterato rapporto delle catene leggere sieriche (kappa/lambda) e un elevato livello della proteina monoclonale (≥1,5 g/dl). La MGUS interessa oltre il 5% della popolazione sopra i 70 anni e può progredire a mieloma multiplo, linfoma o macroglobulinemia di Waldenström
Il 3,2% delle persone di oltre 50 anni e il 5,3% degli over 70, presentano un aumento della frazione gamma all’elettroforesi proteica, di tipo monoclonale, di significato incerto. Gli esperti lo chiamano MGUS (monoclonal gammopathy of undetermined significance, MGUS) e tecnicamente è caratterizzato dalla presenza di una proteina monoclonale a concentrazioni pari o inferiori a 3,0 g/dl, in assenza (o con minima presenza) di proteine monoclonali o catene leggere monoclonali nelle urine e in assenza dei cosiddetti caratteri ‘CRAB’ (ipercalcemia, insufficienza renale, anemia, lesioni ossee). Nei pazienti con MGUS infine, la concentrazione di cloni plasmacellulari nel midollo osseo è sempre inferiore al 10%.
 
Anche la prognosi di questi pazienti è abbastanza incerta. Alcuni evolvono verso una forma tumorale franca (ad esempio mieloma multiplo), altri resteranno MGUS per tutta la vita. Per far luce sul tipo di evoluzione di questi pazienti e soprattutto sullechance di virare verso una forma tumorale, Robert A. Kyle e colleghi delle divisioni di Ematologia, Biostatistica ed Epidemiologia della Mayo Clinic, Rochester (Usa), hanno seguito 1.384 pazienti con diagnosi di MGUS, formulata tra il 1960 e il 1994, per un periodo di circa 34 anni (pari a 14.130 anni-persona di follow-up). Endpoint primario dello studio, pubblicato su New England Journal of Medicine, era valutare la progressione a mieloma multiplo o ad altra patologia linfoide o delle plasmacellule.
 
In questo periodo di osservazione la MGUS ha mostrato una progressione in 147 pazienti (11% del gruppo) che rappresenta un tasso 6,5 volte superiore rispetto alla popolazione generale. Più in particolare, il rischio di progressione è risultato del 10% a 10 anni, del 18% a 20 anni, del 28% a 30 anni, del 36% a 35 anni, del 36% a 40 anni.
 
La presenza di due particolari fattori di rischio, cioè un alterato rapporto delle catene leggere sieriche (kappa/lambda) e un elevato livello della proteina monoclonale (≥1,5 g/dl), si associava ad un rischio di progressione a 20 anni del 55%, rispetto al 41% dei soggetti con uno solo di questi fattori di rischio e al 19% di chi non presentava questi fattori di rischio.
 
Gli autori hanno riscontrato anche che tra i pazienti con MGUS non-IgM, la presenza di entrambi questi fattori di rischio si associava ad un rischio di progressione a 20 anni del 30%; in presenza di un unico fattore, il rischio di progressione scendeva al 20%; infine, in assenza di questi fattori di rischio, la progressione a 20 anni dei MGUS non-IgM era del 7%.
 
Le MGUS IgM in genere derivano da una cellula linfoplasmocitica CD20+, che non è andata incontro a ricombinazione switch e si associa al rischio di progressione verso un linfoma o una macrogliobulinemia di Waldenström. Per contro, le forme non-IgM si sviluppano in genere da plasmacellule mature che sono andate incontro a ricombinazione switch e risultano associate al rischio di progressione verso un mieloma multiplo. Entrambi le forme possono progredire ad amiloidosi da catene leggere.
 
Il fatto di essere portatori di MGUS si associava complessivamente ad una riduzione di sopravvivenza rispetto alla popolazione generale (8,1 contro 12,4 anni).
 
L’analisi dei ricercatori della Mayo Clinic rivela insomma che i pazienti con MGUS possono essere stratificati in diverse categorie di rischio a seconda della natura della proteina monoclonale (IgM o non IgM) e della presenza o meno di due specifici fattori di rischio (alterato rapporto kappa/lambda e livelli della proteina monoclonale ≥1,5 g/dl).
 
Nonostante la MGUS sia un disordine piuttosto frequente, che risulta associato ad un rischio di progressione ad una forma tumorale intrattabile modesto ma persistente per tutta la vita, non ci sono prove al momento che screenare la popolazione per MGUS e monitorarla a lungo termine possa migliorare la prognosi dei pazienti. Per rispondere a questo quesito è appena partito in Islanda un trial randomizzato di screening e di intervento sui pazienti con MGUS.
 
Maria Rita Montebelli
22 gennaio 2018
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