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QS Edizioni - lunedì 30 dicembre 2024

Scienza e Farmaci

Anche il colesterolo “buono” può essere dannoso

di Anne Harding
immagine 3 gennaio - Il colesterolo Hdl (High Density Lipoprotein), meglio conosciuto come il “colesterolo buono” per il ruolo positivo che svolge a livello cardiovascolare, è infatti associato a un aumento delle malattie legate a un’infezione. L’associazione riguarda sia i livelli bassi, sia i livelli alti di queste lipoproteine. Il dato arriva da un ampio studio prospettico condotto in Danimarca
(Reuters Health) - Anche il colesterolo “buono” può diventare “cattivo”. Un nuovo studio prospettico ha infatti scoperto che sia livelli elevati, sia livelli bassi di lipoproteine ad alta densità (Hdl) sono associati ad un aumentato rischio di malattie causate da un’infezione. “L'Hdl è da tempo considerato come il colesterolo buono per il cuore, ma gli studi clinici sui farmaci che potenziano l'Hdl non hanno mostrato alcun beneficio per le malattie cardiovascolari,” dice Boerge Nordestgaard, dell'Ospedale universitario di Copenaghen, autore principale dello studio.
 
“I valori di Hdl precipitano quando una persona sviluppa una sepsi, con esiti peggiori nei pazienti che presentano ivelli più bassi di queste lipoproteine, inoltre, i pazienti che arrivano in ospedale con bassi livelli di Hdl sono a maggior rischio di complicanze infettive”, aggiungono Nordestgaard e i suoi colleghi.

La premessa
“Alcuni studi preclinici suggeriscono che l'Hdl può regolare l'immunità innata e adattativa, poiché queste lipoproteine partecipano alla regolazione della proliferazione delle cellule staminali ematopoietiche dal midollo osseo e sono anche in grado di modulare la maturazione e la funzione delle cellule immunitarie attraverso un effetto su recettori di superficie cellulare”, scrivono gli autori dello studio, illustrando gli obiettivi dello studio pubblicato dall’European Heart Journal lo scorso 8 dicembre.

Lo studio
Per dimostrare il legame tra Hdl e patologie legate a un’infenzione, i ricercatori hanno utilizzato i dati dello studio sulla popolazione generale di Copenaghen, composto da un campione di 97.000 persone, mentre i 9.387 pazienti del Copenaghen City Heart Study hanno costituito la coorte di validazione. Rispettivamente Il 9% e il 31% delle due coorti hanno sviluppato almeno un'infezione che ha richiesto il ricovero durante il follow-up.

Nello studio generale sulla popolazione, le persone con livelli di Hdl inferiori a 0,8 mmol / litro (31 mg / dL) avevano un Hazard Ratio (HR) di 1,75 (intervallo di confidenza del 95%, 1,31-2,34) per ospedalizzazione correlata all'infezione, rispetto a coloro che presentavano livelli di 2,2- 2,3 mmol / litro (85-95 mg / dL). L'Hr per l'ospedalizzazione correlata all'infezione associata a livelli di Hdl superiori a 2,6 mmol / litro (100 mg / dL) era 1,43 (intervallo di confidenza del 95%, 1,16-1,76).

Il 21% dei partecipanti allo studio aveva bassi livelli di Hdl, a fronte dell'8% con livelli alti. Nel Copenaghen City Heart Study l'HR per ogni infezione era pari a 2,00 (IC 95%, 1,13-3,43) con Hdl basso, e a 1,13 (IC 95%, 0,80-1,60) con Hdl alto.

Le conclusioni
“Le molecole di Hdl possono svolgere un ruolo importante nel neutralizzare ed eliminare le endotossine dal corpo. Alcune mutazioni genetiche portano a livelli di Hdl molto elevati e possono anche influenzare la suscettibilità alle malattie, giacché le molecole di Hdl, in elevata concentrazione, perdono la loro funzionalità”, ipotizzano Nordestgaard e colleghi.

“Sebbene gli autori non possano assolutamente dimostrare una relazione causale tra livelli di Hdl e infezioni, è altamente probabile che queste lipoproteine possano effettivamente modulare l'esito e la suscettibilità alle patologie infettive - scrivono Thimoteus Speer e Stephen Zewinger, del Centro Medico Universitario della Saarland a Homburg / Saar, nell’editoriale che accompagna lo studio - Tuttavia, nonostante le ampie dimensioni dello studio e le analisi di sensibilità fornite, la presenza di fattori di confondimento aggiuntivi o di causalità inversa non può essere completamente esclusa”.

Fonte: Eur Heart J, Dicembre 2017

Anne Harding

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
3 gennaio 2018
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