Siamo tutti diventati rabdomanti del wifi; prima di prenotare un albergo, si controlla se tra i vari simboli sia presente l’imprescindibile ‘ventaglietto’ ; come si entra in un ristorante prima ancora del menu ci si premura di chiedere se è presente una ‘rete’; una casa senza il wifi poi, non è neppure ipotizzabile. E in assenza del router, c’è sempre il cellulare a tenerci invischiati nella rete, connessi col mondo.
Il problema è che tutte queste radiazioni non-ionizzanti, con le quali andiamo a letto e ci svegliamo (tablet e cellulare in carica sul comodino sono un classico) potrebbero non essere così innocue come la loro eterea trasparenza farebbe supporre. E lo IARC (International Agency for Research on Cancer) le ha infatti già incluse nella lista dei possibili cancerogeni.
A lanciare un nuovo allarme, l’ultimo di una serie sempre più lunga, è uno studio pubblicato in questi giorni su
Scientific Reports (rivista del gruppo editoriale di
Nature) da ricercatori del Kaiser Permanente Northern California (KPNC). Il loro messaggio è diretto alle donne in gravidanza, perché secondo i risultati della loro ricerca,
l’esposizione alle radiazioni non ionizzanti prodotte dai campi magnetici triplicherebbe il rischio di aborto. Wifi e cellulari insomma aumenterebbero in maniera sensibile il rischio perdere il bambino.
Un dato inquietante che, seppure non definitivo, merita tuttavia la dovuta attenzione.
Le radiazioni non ionizzanti dei campi magnetici si producono quando si accende un apparato elettrico e si fa ‘fluire’ così la corrente. Possibili fonti sono dunque gli apparecchi che vanno a elettricità in generale, i trasformatori, gli apparecchi wifi (come telefonini e tablet appunto), e le reti wifi.
Mentre in letteratura abbondano gli studi sui danni da radiazioni ionizzanti, molto poco è stato pubblicato sugli effetti delle radiazioni non ionizzanti per la salute umana. Anche per questo, lo studio del Kaiser Permanente, finanziato dal
National Institute of Environmental Health Sciences, ha una sua importanza.
Lo studio ha coinvolto 913 donne in gravidanza, arruolate presso il Kaiser Permanente Northern California; a tutte è stato chiesto di indossare uno speciale apparecchio in grado di monitorare l’esposizione ad un campo magnetico per 24 ore consecutive, nel corso di una giornata ‘tipica’ (rispetto alle attività quotidiane svolte dalla donna) durante il periodo di gravidanza.
Il 10,4% delle donne arruolate in questo studio ha presentato un aborto; dopo aver controllato tutti i possibili fattori di confusione (precedenti aborti, consumo di alcol, eccesso di caffè, febbri o infezioni materne, ecc), gli autori concludono che le donne esposte ad alti livelli di radiazioni non ionizzanti presentano, rispetto alle donne esposte a livelli inferiori, un rischio quasi tre volte maggiore di aborto (HR 2,72).
Il principale limite di questo studio è naturalmente il fatto che la misurazione oggettiva dell’esposizione alle radiazioni non ionizzanti, ottenuta mediante un rilevatore EMDEX (Enertech Consultants Inc.) è stata effettuata per appena 24 ore, e non per tutta la durata della gravidanza.
Ma il dubbio che le radiazioni non ionizzanti rappresentino un rischio per il buon esito della gravidanza resta e questo studio è stato preceduto da altri quattro, pubblicati nell’arco degli ultimi 15 anni, che giungono alle stesse conclusioni.
“Vista la natura ubiquitaria dell’esposizione a queste radiazioni non ionizzanti – concludono gli autori - anche un piccolo aumento di rischio, inerente all’esposizione, potrebbe comportare conseguenze inaccettabili per la salute delle donne in gravidanza.” Oltre a stimolare nuove ricerche in questo campo i risultati di questo studio secondo gli autori dovrebbero essere comunicati alle donne, per far conoscere loro questo rischio ambientale in larga parte sconosciuto e potenzialmente molto importante.
Maria Rita Montebelli