L’influenza è un killer largamente sottostimato. E le stime tradizionali di mortalità annuale hanno bisogno di essere riviste, passo fondamentale questo per improntare efficaci politiche di salute pubblica sia a livello locale che internazionale. Dell’argomento si è occupato un lavoro pubblicato su
Lancet da
Danielle Iuliano e colleghi della
Influenza Division dei CDC di Atlanta (Usa) che sottolinea come le ‘tradizionali’ stime, fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, di 250-500.00 decessi legati alle complicanze respiratorie dell’influenza stagionale, siano decisamente da rivedere.
Detto fatto, gli esperti americani si sono messi all’opera e sono andati a rivedere le stime di mortalità respiratoria collegata all’influenza, nazione per nazione (per 33 nazioni diverse) nel periodo 1999-2015.
I tassi di mortalità in eccesso per cause respiratorie correlate all’influenza sono stati stimati per ogni singola nazione attingendo ai registri di mortalità e ai dati di sorveglianza dell’influenza. Nel caso delle nazioni per le quali non si disponeva di questi dati, sono stati utilizzati i tassi di mortalità per infezioni respiratorie del WHO Global Health Estimate. In questo modo gli autori sono riusciti ad estrapolare i dati relativi all’eccesso di casi di morte per cause respiratorie dovuti all’influenza, a 185 nazioni, sei regioni dell’OMS, quattro regioni per reddito della World Bank e tre gruppi d’età (<65 anni, 65-74 anni, ≥ 75 anni).
Secondo le stime aggiornate, l’influenza nel periodo 1999-2015 avrebbe causato
un numero di morti in eccesso (per sole cause respiratorie) pari a 291.243-645.832 (4,0-8,8 per 100.000 persone). Queste stime starebbero ad indicare che la mortalità associata all’influenza è aumentata ma danno comunque ancora una sottostima dei ‘veri’ tassi di mortalità dovuti all’influenza, in quanto escludono dal computo tutte le cause non respiratoria (ad esempio quelle cardiovascolari).
Notevoli restano tuttavia le differenze di mortalità in eccesso tra una nazione e l’altra; per questo le stime utili per improntare le politiche di salute pubblica, sono solo quelle relative alle singole nazioni per le quali si dispone di dati ‘locali’. E questo naturalmente taglia fuori da queste conversazioni di prevenzione soprattutto le nazioni a basso e medio reddito (dati ‘locali’ sono disponibili solo per il Kenya tra le nazioni a basso reddito, India e Paraguay tra quelle a medio reddito). Un grosso problema perché secondo gli autori, il carico di mortalità maggiore per le complicanze respiratorie dell’influenza si registra proprio nelle nazioni a basso (2,5-16,7 decessi per 100.000 persone) e a medio reddito (3,4-10,2 decessi per 100.000 persone).
Numeri impressionanti, contro i quali solo un utilizzo più esteso della vaccinazione anti-influenzale può fare qualcosa. E non a caso, sono proprio le nazioni a basso e medio reddito quelle più scoperte sul fronte delle politiche vaccinali.
Particolarmente esposti al rischio di complicanze respiratorie fatali sono gli anziani; il gruppo degli over 75 secondo questo studio presenta un tasso di mortalità pari a 51,3 - 99,4 per 100.000 abitanti. Tuttavia, ricordano
Sheena Sullivan (WHO
Collaborating Center for Reference and Research on Influenza) e
Peter Doherty (
Institute for Infection and Immunity, Melbourne, Australia) autori di un
editoriale di commento allo studio dei CDC, proprio negli anziani, il vaccino anti-influenzale avrebbe un effetto tutt’altro che ottimale e c’è chi ipotizza che almeno in parte, la scarsa efficacia dei vaccini nelle categorie più avanti con gli anni, potrebbe essere dovuta alle ripetute vaccinazioni effettuate nel corso della vita, più che all’età di per sé. Gli stessi autori ricordano che gli attuali processi di produzione possono limitare l’antigenicità di alcune componenti dei vaccini per l’influenza, in particolare nel caso degli attuali ceppi virali A (H3N2) che sarebbero dunque con tutta probabilità i maggiori responsabili dei decessi correlati alle complicanze respiratorie influenzali.
Tanto lavoro insomma resta ancora da fare per definire con maggior accuratezza l’effettivo carico di mortalità correlato a tutte le complicanze influenzali, e non solo a quelle respiratorie, ma anche per quantificarlo con maggior precisione per le diverse fasce d’età e per ceppi influenzali.
Per adesso, il messaggio che scaturisce forte e chiaro da questo studio è che l’influenza è un killer e che è necessario affinare le strategie di prevenzione. Ma intanto, è bene darsi da fare per applicare al meglio quelle esistenti.
Maria Rita Montebelli