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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Cancro mammario. In chemioterapia il “riposo ovarico” preserva la fertilità

di Megan Brooks
immagine 12 dicembre - “Sospendere” temporaneamente la funzione ovarica durante la chemioterapia per un carcinoma mammario può preservare la fertilità. Una metanalisi condotta da ricercatori belgi ha evidenziato come questa opzione sia associata a un significativa riduzione del rischio di insufficienza ovarica prematura indotta dalla chemioterapia
(Reuters Health) – La soppressione temporanea della funzione ovarica può preservare la fertilità durante la somministrazione di chemioterapia nel carcinoma mammario. Il trattamento con un analogo dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRHa) potrebbe proteggere la funzione ovarica e, potenzialmente, preservare la fertilità nelle donne in premenopausa che ricevono la chemioterapia per carcinoma della mammella in stadio iniziale. E’ quanto rileva una recente revisione della letteratura sulla materia condotto da ricercatori dell’Institut Jules Bordet di Bruxelles.

La premessa
La metanalisi ha rilevato che la somministrazione di GnRHa durante la chemioterapia è associata a una significativa riduzione del rischio di insufficienza ovarica prematura indotta dalla chemioterapia (POI), ha riferito Matteo Lambertini, dell’Institut Jules Bordet di Bruxelles, lo scorso 7 dicembre al congresso sul tumore del seno di San Antonio.

L’insufficienza ovarica è un effetto collaterale comune della chemioterapia nelle donne in pre-menopausa che ha, come conseguenza, un sostanziale impatto negativo sulla qualità della vita. La crioconservazione di ovociti/ embrioni sono strategie standard per preservare la fertilità, ma non prevengono il rischio di POI indotto dalla chemioterapia. La soppressione temporanea dell’ovaio con GnRHa durante la chemioterapia è stata studiata in diversi studi randomizzati controllati come strategia per preservare la funzione ovarica e la potenziale fertilità, ma i dati sono ancora misti e il suo ruolo rimane controverso, hanno ribadito i ricercatori.

La metanalisi
Per fornire prove più esaustive, Lambertini e colleghi hanno condotto una metanalisi dei dati di singoli pazienti relativi a cinque studi randomizzati controllati in cui donne in pre-menopausa con carcinoma mammario in stadio iniziale erano state randomizzate alla chemioterapia da sola (braccio di controllo, 437 donne) o con concomitante terapia a base di GnRHa (436 donne). Il tasso di POI era significativamente più basso nel gruppo GnRHa rispetto al gruppo di controllo (14% vs 31%). Le donne nel gruppo GnRHa hanno avuto il 62% in meno di rischio di sviluppare POI rispetto alle donne partecipanti nel gruppo con sola chemioterapia (P <0,001). I tassi di amenorrea a un anno dopo la chemioterapia non differivano significativamente (37% con GnRHa e 40% in assenza), ma a due anni meno donne trattate con GnRHa presentavano amenorrea (18% vs 30%; P = 0,009). Trentasette (10,3%) donne nel gruppo GnRHa hanno avuto almeno una gravidanza post-trattamento durante il follow-up rispetto a 20 (5,5%) pazienti nel gruppo di controllo (P = 0,03).

I commenti
“Sebbene i numeri assoluti rimangano bassi, abbiamo osservato un raddoppio del numero di gravidanze post-trattamento nelle pazienti del gruppo GnRHa rispetto a quelle trattate con la sola chemioterapia. Questo suggerisce che GnRHa durante la chemioterapia non è solo una strategia per preservare la funzione ovarica, ma potrebbe anche migliorare potenzialmente la fertilità futura”, sottolineaLambertini. Non ci sono state differenze significative nella sopravvivenza libera da malattia e nella sopravvivenza globale tra i due gruppi. “Il nostro studio – conclude Lambertini – aggiunge importanti prove sia sull’efficacia che sulla sicurezza della soppressione ovarica temporanea con GnRHa durante la chemioterapia, non solo nelle pazienti con malattia da recettori estrogeni negativi, ma anche in donne con tumori ER-positivi, che rappresentano la maggior parte dei nuovi casi di cancro al seno nelle giovani donne. Riteniamo che i risultati del nostro studio potranno essere utilizzati come prova di riferimento per l’aggiornamento delle linee guida internazionali ASCO ed ESMO sull’uso di questa strategia”.

Fonte: Congresso Oncologia San Antonio 2017

Megan Brooks

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
12 dicembre 2017
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