(Reuters Health) – L’oxibato di sodio è efficace nell’alleviare l’eccessiva sonnolenza diurna (EDS – excessive daytime sleepiness) e migliora i disturbi del sonno, nei pazienti con malattia di Parkinson. A riferirlo sono i ricercatori svizzeri guidati da
Fabian Buechele, dell’University Hospital di Zurigo, che hanno condotto un trial clinico. I risultati sono stati pubblicati da JAMA Neurology.
Lo studio
Per la sperimentazione, Buechele e colleghi hanno esaminato l’efficacia e la sicurezza nell’uso dell’oxibato di sodio su 12 pazienti con Parkinson e con EDS, senza apnea notturna. Il composto ha migliorato in modo significativo l’EDS, come dimostrato dall’aumento del punteggio sulla latenza media del sonno (MSL) e dalla diminuzione di quello Epworth Sleepiness Score (ESS). Dai risultati è inoltre emerso che otto pazienti hanno avuto un aumento di oltre il 50% del MSL rispetto a un paziente trattato con placebo, e sei pazienti una normalizzazione di ESS, durante il trattamento con sodio oxibato.
I pazienti avrebbero presentato eventi avversi da lievi a moderati durante la somministrazione di sodio oxibato, ma questi si sarebbero risolti dopo l’aggiustamento della dose. Mentre due pazienti avrebbero sviluppato apnea notturna mai avuta prima, durante il trattamento con sodio oxibato.
“Circa la metà dei pazienti ha mostrato una risposta al trattamento con normalizzazione della sonnolenza spesso grave e debilitante”, commenta Buechele ,“Il sodio oxibato può offrire un approccio promettente al trattamento dell’eccessiva sonnolenza diurna, ma i test polisonnografici prima e dopo l’inizio del trattamento sono importanti per escludere che ci siano controindicazioni al suo utilizzo”.
Secondo
Amy Amara, dell’Università dell’Alabama di Birmingham, “la possibilità di usare questo farmaco è molto importante, dal momento che la sonnolenza diurna nel malati di Parkinson è un problema significativo”. I farmaci usati per trattare il Parkinson “possono causare sonnolenza diurna e questo ha un impatto negativo sulla qualità della vita e sulla sicurezza di questi pazienti”, sottolinea l’esperto. E comunque, “prima che questo farmaco entri nella pratica clinica dovrebbero essere eseguiti studi su un più ampio numero di pazienti”, ha concluso il ricercatore, secondo il quale è importante anche considerare che dalla ricerca sono state escluse, in realtà, le persone con problemi cognitivi, sulle quali bisognerebbe dunque testare il farmaco.
Fonte: Jama Neurology
Will Boggs
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)