Bocciato dalla Cassazione (ordinanza 23 ottobre 2017 n. 24959) l’ennesimo ricorso dei genitori di un bambino autistico contro il ministro della Salute per ottenere l’indennizzo previsto dalla legge del ’92 sui danni da vaccinazioni, , affermando che non è stato dimostrato il nesso causale tra la malattia e la somministrazione di medicinali.
Secondo i genitori il bimbo tra il 1998 e il 2003 è stato vaccinato con antipolio di tipo Sabm, DTP (antidifterica, antitetanica e antipertosse) e MPR (morbillo parotite e rosolia).
In primo grado il Tribunale di Pesaro gli aveva dato ragione ma la Corte di appello di Ancona, rovesciando il verdetto, ha affermato che il CTU ha “escluso la sussistenza del nesso di causalità tra la malattia e le vaccinazioni”.
“Nel caso, alle puntuali argomentazioni del CTU di secondo grado – si legge nell’ordinanza -,che si sono avvalse anche della letteratura scientifica, iricorrenti contrappongono altre argomentazioni, desunte da diversa ed ulteriore letteratura scientifica che, pur manifestando l'acceso dibattito che da tempo si registra sulla questione, non rivela acquisizioni ed elementi decisivi al fine di confutare la soluzione da quello adottata”.
Secono la Cassazione, bisogna attenersi al principio di diritto secondo cui “la prova a carico dell'interessato ha ad oggetto l'effettuazione della somministrazione vaccinale e il verificarsi dei danni alla salute e il nesso causale tra la prima e i secondi, da valutarsi secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica, mentre nel caso il nesso causale costituisce solo un'ipotesi possibile”.
“Deve qui ribadirsi – aggiungono i giudici nell’ordinanza – che il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata,o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice (v.
ex p!unmis da ultimo Cass. ord. n. 1652 del 2012, Cass. ord. 23/12/2014 n. 27378, Cass. 16/02/2017 n. 4124)”.
“Né – conclude la pronuncia - risulta decisiva la critica avente ad oggetto la mancata individuazione da parte del CTU di una possibile eziologia alternativa, considerato che la Corte riferisce il passaggio della consulenza ove si ammette che l'eziologia di tale della malattia, così come della stragrande maggioranza dei disturbi mentali, risulta tuttora in gran parte sconosciuta”.
La Cassazione ha quindi giudicato inammissibile il ricorso e condannando i genitori al raddoppio del contributo unificato.