Le donne che si rivolgeranno all’Istituto Regina Elena di Roma per uno screening spontaneo per la prevenzione del tumore del collo dell’utero, avranno a loro disposizione uno strumento ancora più preciso. Si tratta del co-test, cioè il pap-test su fase liquida e il contemporaneo test virale (Hybrid Capture 2 - HC2) per il rilevamento di papillomavirus umano. Questa strategia preventiva consente di unire l’estrema sensibilità del test virale, capace di identificare le donne con lesioni pre-tumorali, alla specificità del pap-test che permette di escludere quelle che (sebbene positive all’HC2) non necessitano di ulteriori approfondimenti.
Si tratta di una strategia originale, commenta Luciano Mariani, ginecologo oncologo dell’Istituto Regina Elena “che sta proprio nel riconoscere – come emerge dalla più recente letteratura internazionale – il ruolo fondamentale del test virale nel percorso di prevenzione. La combinazione dei risultati nei due test – aggiunge Mariani – fornirà, unitamente agli elementi raccolti nella visita ginecologica, il livello di rischio della singola donna. L’adozione del sistema di co-test, grazie anche alla disponibilità del Servizio di Anatomia-Patologica e Citodiagnostica, apre inoltre ad ampie collaborazioni con le Istituzioni nazionali di maggior rilevanza in campo preventivo.”
Come si ricorda nella nota che annuncia l’iniziativa dell’Ospedale romano, il tumore del collo dell’utero è il secondo cancro della donna per frequenza a livello mondiale e in Italia rappresenta quasi il 2% di tutti i tumori maligni femminili. Quello che viene denominato “screening organizzato” (cioè l’invito della Asl di zona a eseguire il pap test) è lo strumento preventivo di maggiore efficacia, a cui si affianca ora anche il programma di vaccinazione contro il papillomavirus-HPV, che punta a perseguire l’obiettivo di prevenzione del cancro della cervice uterina. La parola screening, in questo caso, si identifica con il Pap-test, tra i più affidabili ed efficaci esempi di indagine preventiva, ampiamente riconosciuta dalla popolazione femminile e vissuto come un appuntamento da rinnovare periodicamente.
Lo “screening spontaneo”, invece, si basa sulla richiesta della singola donna a effettuare il test (circa il 38%) e sebbene non rientri nel programma di salute pubblica (in termini di metodologia, rigore applicativo, verifica dei risultati, intervalli di tempo, costi, eguaglianza tra la popolazione ecc.), si dimostra un elemento importante per aumentare il livello di protezione della donna.
Anche le istituzioni pubbliche, infatti, concorrono allo screening spontaneo e al raggiungimento di un obiettivo qualificato come la riduzione di mortalità da cancro della cervice uterina attraverso un rigoroso progetto metodologico. In linea con tale percorso, presso l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena è stato adottato, come primo livello dello screening spontaneo, il co-test che include il Pap Test e l’HPV-DNA test. “L’esecuzione del co-test – precisa Enrico Vizza, Direttore della Ginecologia Oncologica IRE – come test di screening spontaneo è indirizzata alle donne di età ≥30 anni, al fine di non medicalizzare inutilmente la fascia di popolazione più giovane, che presentano altissima positività all’HPV, ma scarsissima patologia pre-tumorale clinicamente significativa”. La doppia negatività (pap-test e HC2) corrisponde ad un profilo di rischio estremamente basso, tale cioè da allungare sensibilmente l’intervallo di sorveglianza fino a tre anni. “Negli altri casi – conclude Mariani - l’invio ad accertamenti di secondo livello sarà dettato, di volta in volta, dal livello di rischio emerso dai due risultati”.