L’allarme è stato lanciato lo scorso agosto sulle pagine del
New York Times: la carenza di farmaci sta diventando un problema sempre più frequente e, soprattutto nell’area oncologica, si corre il concreto rischio che i pazienti rimangano senza il trattamento più appropriato.
Un rischio rilanciato da Mario Pirani su
Repubblica e da Mario Pappagallo sul
Corriere della Sera. Una volta tanto, a monte del fenomeno non c'è il costo esorbitante dei nuovi principi attivi biologici. Al contrario: per il quotidiano americano è proprio il basso prezzo delle molecole più vecchie a renderle poco remunerative per le aziende, che sono tentate a investire su altri prodotti.
Come se non bastasse crescono le importazione di principi attivi da Paesi in via di sviluppo, dove i controlli e le ispezioni che garantiscono la qualità delle produzioni sono molto meno pressanti. Capita allora che le autorità occidentali si vedano costrette a ritirare prodotti per contaminazioni o altri difetti della qualità.
Qualunque sia la causa, nell’ultimo anno negli Usa, per 180 farmaci si è raschiato il fondo delle scorte. Una carenza che “ci sta uccidendo”, ha dichiarato il presidente dell’American Society of Clinical Oncology Michael Link al New York Times. “Questi farmaci salvano vite ed è inconcepibile che medicinali che costano un paio di dollari a fiala non siano disponibili”.
La preoccupazione ci ha messo poco a varcare l’Atlantico e sbarcare in Italia. Il direttore del Dipartimento di Oncologia Medica del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, Umberto Tirelli, ha rilanciato la notizia dalle pagine del proprio sito: il problema potrebbe porsi presto anche in Europa e in Italia.
E così i pazienti ammalati di cancro si potrebbero trovare nel bel mezzo di una tempesta perfetta, con i farmaci di vecchia generazione non disponibili perché poco remunerativi per le aziende e quelli di nuova generazione troppo cari per la casse sempre più in affanno delle Regioni.
Ma quanto è concreto il rischio?
Marco Venturini, direttore dell'Oncologia medica dell'ospedale Negrar di Verona e presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, rassicura: “Per il momento nell’ambito dell’oncologia italiana non esistano carenze di approvvigionamento. Oggi non c’è il rischio concreto che i pazienti non facciano la terapia per mancanza di farmaci”, ha dichiarato a
Quotidiano Sanità. Tuttavia, c’è poco da star tranquilli. “Sono certo che in futuro il problema si porrà. Per questo è opportuno cominciare a immaginare in che modo muoversi”.
Il problema è ineludibile. I farmaci di vecchia generazione soltanto in rari casi sono stati mandati in soffitta dai nuovi prodotti e così nel tempo l’armamentario degli oncologi si è arricchito di una gamma molto ampia di medicinali. “Se oggi guariamo un numero di tumori impensabile fino a qualche anno fa lo dobbiamo soprattutto a questa enorme disponibilità di farmaci in oncologia. Soprattutto nella malattia metastatica, quando un farmaco non funziona più, si passa a un altro. E questo modus operandi fa sì che anche i vecchi farmaci vengano ampiamente utilizzati”, dice Venturini.
Ed è per questo che farmaci come ciclofosfamide, adriamicina o cisplatino, sebbene siano sul mercato da decine di anni, sono ancora essenziali.
Ma fin quando ci sarà interesse a produrli?
Oggi il Servizio sanitario nazionale, per un flacone da 500 milligrammi di ciclofosfamide rimborsa all’azienda 2,27 euro, poco più di 9 euro per uno di adriamicina, 4,61 per uno di cisplatino.
Con questi margini, l’ipotesi che anche i produttori di generici abbandonino il campo per investire, magari, nei più remunerativi biosimilari è quanto mai concreta. Basti pensare che una sola compressa di imatinib - il farmaco che nel 2001 si conquistò la copertina di
Time che lo salutava come il “proiettile magico” per curare il cancro - costa più di 16 euro e la posologia prevede tra le 4 e le 8 compresse al giorno.
“Occorre trovare soluzioni per tempo”, sottolinea Venturini che non nega che l’argomento sia stato a lungo ignorato, pressati dall’urgenza del “problema opposto: quello della razionalizzazione dell’uso dei farmaci ad alto costo”.
Su questo fronte, l’emergenza per ora sembra rientrata. È vero che i costi dei farmaci oncologici di nuova generazione restano esorbitanti, ma “lavorando a lungo con l’Aifa, abbiamo messo a punto meccanismi che - nei limiti del possibile - consentono di contenere la spesa senza che il paziente ne abbia a risentire”, conclude l’oncologo.
Antonino Michienzi